InTheMusic: Belize, interview

Chi è Belize?

Belize è un progetto nato nel 2013 durante un pomeriggio di cazzeggio, in cui Mattia e Riccardo hanno scoperto la passione comune per le produzioni hip hop di fine anni ’90. Quelle più da viaggio nel proprio inconscio che da cumpa, per intendere.

Siamo cresciuti nella stessa città, Varese. Stesse aule scolastiche vissute in momenti diversi o attraverso persone diverse (c’è chi ha frequentato lo stesso liceo e c’è chi ha avuto a che fare con il padre dell’altro, in quanto insegnante), eppure non ci siamo mai davvero incontrati prima di condividere lo stesso palco, ognuno con il proprio progetto. In un momento di transito ci siamo ritrovati. Sentivamo tutti la necessità di cambiare pelle raccontandoci attraverso un linguaggio comune superando i confini della nostra città.

Così è nato “Due” (2014), il nostro primo singolo. L’idea pareva semplice: unire il rotolare groovoso di una batteria rubata chissà a quale epoca, allo schiaffo di una cassa trap, accentuando il contrasto tra i due mondi con due voci opposte seppur complementari.

Belize è tutto quello che è successo dopo.

Quali sono state le vostre influenze?

Da buon progetto corale, il primo passo è stato quello di presentarsi e, con la coordinazione di Riccardo, esplicitare i propri interessi comuni. Per questo abbiamo creato una playlist segreta dove per anni abbiamo raccolto tutto ciò che per noi rappresentava Belize.

I nomi sono così tanti e vari che sarebbe necessario un database e svariate join, quindi mi limiterò a dirvi che ci coesistono Dalla, i Beastie Boys e Arca.

Come sono divisi tra di voi i compiti? 

Federico cura l’immagine visiva, dalla raccolta di frame alla comunicazione sui social, oltre ad essere uno dei batteristi più decisi che conosciamo.

Mattia è il genietto. Dopo un misterioso infortunio ha scoperto la potenza di un dsp tirato per il collo applicato al chitarrismo più delicato. Tutto quello che sentite uscire di alieno in Belize è opera sua.

Yed è il responsabile delle basse frequenze e della finalizzazione delle produzioni audio, oltre che il peggior aizzatore di Mattia. È il più anziano e alle volte lo senti borbottare i fasti di epoche passate.

Riccardo è la mente straziata e visionaria dell’intero progetto. Ha scelto i soggetti, indicato la direzione e incorniciato il tutto con la propria voce.

Qual è stato il vostro approccio alla produzione? 

Essendo tutti piuttosto frustrati e in vena di sperimentazione, il nostro primo approccio alla produzione è stato quello di partire esattamente da ciò che conoscevamo meno, le “macchine”. Si sa quanto in quattro il coefficiente gauss possa raggiungere livelli di guardia, eppure quasi tutto quello che è stato prodotto in quel periodo ha trovato un suo posto nella nostra scaletta e nel nostro primo disco “Spazioperso” (2016). Un disco eterogeneo proprio per la sua natura asincrona, in cui non è difficile riconoscere le diverse fasi del nostro percorso espressivo e umano.

Per la nostra ultima creatura, “Replica” (2017), abbiamo invece optato per un approccio più classico in cui ci siamo riscoperti strumentisti, consegnando le redini della direzione artistica a Giacomo Carlone (Egokid, Palazzo, Stefano Filipponi, CreMa), produttore eclettico, musicista espressivo ma sopratutto coetaneo e complice.

Cosa volete trasmettere al pubblico attraverso la vostra musica?

Il nuovo approccio alla produzione ha dato maggiore spazio anche alla scrittura. L’urgenza di definire un nostro marchio di fabbrica è stata per anni la priorità concedendo a Riccardo poco spazio di manovra. Mano a mano che acquisivamo confidenza con il nostro vocabolario sonoro anche le liriche hanno di pari passo superato le sensazioni di un fermo immagine per addentrarsi in una più urgente riflessione sull’interdipendenza tra umani in crescita. Cercando Belize online troverete per lo più spiagge incontaminate e vari tropicalismi da cartolina, nessuno ci tiene a mostrare l’altra faccia della medaglia fatta di disparità sociali, scarsa integrazione di estesi gruppi etnici, criminalità organizzata e tassi di omicidi degni di nota. Ci piace giocare con le contraddizioni, le zone grigie e i punti di vista, tant’è che il nome ci è stato suggerito da una serie tv per cui inviare una persona in “Belize” significava, piuttosto velatamente, liberarsi di lui. Un esempio è il singolo “Superman” (2017) in cui audio e video assieme raccontano l’esasperazione idilliaca dell’immaginario pop, dei brand e dello scintillio dell’epoca in cui viviamo in contrasto con il senso di rassegnazione e disperazione del voler lasciare una traccia di sè seppur consapevoli dei propri limiti. Per noi è indispensabile riuscire ad entrare in contatto con la nostra generazione, riuscire a rompere il ghiaccio della propria comfort-zone creando per tutti uno spazio comune in cui sentirsi meno soli.

Chi vi sostiene in questo percorso?

Tenendo bene a mente il goal comune, si può intendere il progetto Belize come una sorta di collettivo non formalizzato in cui tutti i soggetti coinvolti sono in qualche modo parte integrante della narrazione. Oltre a Giacomo Carlone, collaboriamo da tempo con altri nostri coetanei che, in ambiti diversi, contribuiscono personalmente alla pacifica invasione della nostra proposta.

Tra loro spiccano: Giacomo Fumagalli aka Aloha Project, illustratore irriverente dallo spiccato gusto comic-pop, fautore di tutte le copertine, loghi e merch vario; Julian Hoxaj aka Hxh, graphic designer direttamente dai balcani; Dalì Guerelle, fotografo di moda e writer; Francesco Italiano e Teo Cremonini che hanno curato (e curano tutt’ora) le public relations con l’ambiente musicale, le booking e i vari media dello stivale.

Ogni ingranaggio della macchina Belize svolge il proprio ruolo in stretto contatto con gli altri in una coordinazione che fa della filosofia DIY il proprio dogma (tutto ciò che è inerente a Belize è sostanzialmente autoprodotto), ma per poter guidare al meglio l’assalto al mainstream nazionale si è rivelato decisivo l’intervento di altre forze. In questo contesto la certificazione di realtà consolidate quali Ghost Records, che ha fin da subito creduto nel progetto, e BPM concerti ha dato al progetto la credibilità necessaria per varcare determinate porte.

Quali sono le vostre intenzioni per il futuro? 

“Replica” è solo il primo capitolo di un nuovo corso ed è nostra intenzione portare avanti il discorso con una seconda parte probabilmente entro la prossima primavera. L’intenzione rimane la stessa, arrivare alle persone divertendoci e possibilmente proponendo una valida alternativa che spicchi nel marasma dell’offerta musicale odierna. Citando il nostro super eroe preferito: da grandi poteri derivano grandi responsabilità, per tutto il resto c’è Internet.

Dove si possono trovare i vostri brani? 

I nostri brani si possono trovare davvero ovunque: Spotify, Apple Music, YouTube, Deezer, Amazon, ecc. Ovviamente abbiamo stampato anche i dischi in formato fisico, ma per quelli siete costretti a venire ad un nostro concerto.

Belize per Siloud

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