InTheMusic: Caffellatte, interview

Nome: Giorgia 
Cognome: Groccia 
In arte: Caffellatte 
Età: 25
Città: Roma
Nazionalità: Italiana
Brani pubblicati: Endorfine, Valium
Periodo di attività: dal 2018
Genere musicale: indie, electropop
Piattaforme: Spotify, YouTube

Caffellatte

Chi è Caffellatte?

Sono Giorgia Groccia, in arte Caffellatte. Ho 25 anni, sono nata a Bari ma vivo a Roma.

Da dove esce fuori il tuo nome d’arte?

l nome Caffellatte nasce su per giù in concomitanza con Facebook.  Avevo inserito accanto al mio nome, tra le parentesi dove si poteva inserire un eventuale nickname, la parola caffellatte scritta male, proprio così con quella doppia elle disturbante che a me piace tanto. In seguito nominai alla stessa maniera un album di fotografie su FB e il nick di IG. Da Instagram in poi tutti mi hanno sempre chiamata Caffellatte, quindi a stenti ricordo il mio nome vero ormai! No scherzo, però è vero, è stato un processo naturale, è come se io e questo nome ci fossimo sempre appartenuti.

In che modo ti sei approcciata alla musica?

Da quando ho memoria ho vissuto la mia vita da sempre con una colonna sonora in sottofondo, come se non potessi mai prescindere dalla musica. Le parole poi sono arrivate alla stessa maniera, senza una vera riflessione circa quello che avrei potuto farne. Scrivevo tanto sin dalle elementari, ho sempre scritto, non sono mai stata brava a spiegarmi in altra maniera, il mio contorto universo di vocaboli esteticamente discutibili ha trovato pace nella narrativa -ho scritto un libro e ne arriveranno altri- , nelle canzoni e non solo.

Unire musica e parole è stato un processo indotto dal maestro Bungaro durante una masterclass. È stato lui a dirmi che potevo farlo, avevo bisogno di una spinta e quella spinta è arrivata in questa maniera nel 2015.

Quali sono le tue influenze musicali?

Mi ricordo i viaggi in macchina con mio padre ascoltando Battiato, Paolo Conte, Fabio Concato. Ho questi tre nomi stampati nella testa. Sicuramente Battiato è stata la mia influenza maggiore, ero bambina, ascoltavo quei suoni elettronici e mi innamoravo. Le parole poi, concatenate alla perfezione come se non potessero legarsi in altra maniera.

Battiato e mio padre mi hanno insegnato ad amare le complicanze, i viaggi in auto, le cose non ovvie.

Riusciresti a dare una definizione della tua musica?

Per ora la mia musica è in fase di costruzione. I primi due singoli fuori sono una piccola parte -anche parecchio smussata- di ciò che scrivo e di ciò che sono. L’elettronica mi sta dando una grande mano nell’alleggerire il mio lato oscuro, la mia naturale propensione verso il torbido che mi caratterizza.

Sicuramente inserirsi nel contesto indie pop sembrerebbe certamente la cosa più naturale e forse lo è davvero, in ogni caso non mi attribuisco un’etichetta perché tutto sommato l’indie è un gran contenitore, uno scatolone vuoto da riempire: ognuno di noi ha qualcosa di diverso, di splendido.

Come nasce un tuo brano?

Le mie canzoni nascono dal testo, scrivo a volte in frammenti da ricucire a volte direttamente in metrica. In questo periodo scrivo spesso a piccoli sprazzi, per poi rimettere assieme i pezzi. Valium invece è nata di getto ormai 3 anni fa.

Quando sono certa di voler lavorare quel determinato brano, entro in studio con Alessandro Donadei e Mario Ciancarella che sono ad oggi i miei produttori. Mostro ad Alessandro il testo, cerco di dargli una direzione melodica per mostrare ciò che vorrei diventasse il brano in questione. Iniziamo a strimpellare la tastiera, creiamo uno scheletro da cui partire, poi iniziamo ad aggiungere qualche suono, li proviamo tutti uno ad uno restando mattinate e pomeriggi interi a cucire il sound perfetto per noi. A quel punto, trovato il ritornello e ricuciti i suoni, iniziamo a smussare ogni angolo: dal testo a tutto il resto. Attendiamo un po’ di tempo prima di mandare il brano in mix e master, vogliamo renderci conto se, passata una settimana, può piacerci ancora o ancora di più.

I due video fuori sono stati scritti interamente da me con la regia di Adriano Giotti e anche lì cerco di raccontare con le immagini il senso di quello che ho scritto, come fosse una diapositiva stravagante della realtà che io ho nella testa.

Le tue non sono canzoni d’amore: di cosa parlano i tuoi testi e che ruolo ha la scrittura nei tuoi brani?

La scrittura nei miei brani ha un ruolo centrale.

Le mie canzoni in realtà parlano poco d’amore o meglio, nel primo brano, Endorfine, c’è la mia personalissima spiegazione dell’innamoramento, ma anche dell’amore a senso unico, nonostante io non sia un’esperta in materia. Endorfine nasce proprio da un periodo di apatia che dura ormai da un paio d’anni, voglio imparare cosa possa significare la parola amare, così magari forse potrò innamorarmi anche io.

La psicosomatica ha come scopo quello di comprendere gli effetti negativi che la mente produce sul corpo. In che modo i disturbi psicosomatici si ‘affacciano’ sulla tua musica?

La mia laurea in psicologia sicuramente ha influito pesantemente sulla scelta di comprendere gli effetti negativi che la mente produce sul corpo, il quale agisce e reagisce in base al grado di pericolo emotivo a cui siamo sottoposti. Questo è determinante.

Siamo chimica, a me piace spiegarla questa chimica, mi piace comprendere come siamo fatti, costruiti da cumuli di imperfezioni e dolori da sopprimere.

Valium è narrata dalla parte di sé stessa che non sa restare sveglia. Questo brano simboleggia un concetto, quale?

Valium nasce da un periodo di forte insonnia che, a dirla tutta, mi accompagna da troppo tempo. In un momento in cui mi trovavo lontana da casa, lontana dalla mia famiglia e dai miei affetti, ho cercato di ricordare gli anni dell’università, le sigarette sul davanzale, i libri aperti sul letto, le notti bianche in compagnia dei miei fantasmi: allora mi facevano tanta paura, ad oggi sono i miei migliori amici.

Valium parla di me, delle domande che io stessa mi pongo ancora oggi tanto frequentemente.

Cosa rappresenta il videoclip di Valium?

L’idea del videoclip di Valium nasce dall’esigenza di spiegare l’insonnia sotto forma di ossessione. Nel video il protagonista viene torturato ed ossessionato da tre figure surreali, il tutto è concepito nella sua testa, è la sua immaginazione a parlare.

La nostra mente produce e ricrea ciò che desideriamo che spesso è anche ciò che ci spaventa di più.

Da Endorfine a Valium, c’è stato qualche cambiamento nella tua musica?

C’è stata un’evoluzione e credo ce ne saranno tante altre: il filone è il medesimo, spero di scavare sempre più affondo, sono partita dalla superficie ma non ci si può mai fermare lì, c’è molto altro da spiegare.

Hai dei progetti per il futuro?

Vorrei concludere il mio concept EP e dopo di che vedere ciò che accade con naturalezza, senza bruciare tappe o accelerare i tempi. Dall’altra parte continuerò a curare le direzioni artistiche, fare da ufficio stampa, scrivere da giornalista.

Ho costruito quest’anno i presupposti adatti a vivere il mio lavoro esattamente come desidero, ne sono molto orgogliosa.

C’è qualcosa che vorresti dire ai nostri lettori?

È bello sapere che c’è chi impiega (come me d’altronde) tanto tempo ed energia positiva a favore della musica indipendente!

Caffellatte for Siloud

 

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