Nome: Marco Cognome: Tabbita Anni: 30 Città: Napoli Nazionalità: Italiana Professione: Graphic and Motion Designer
Ciao Marco, parlaci di te!
Sono Marco Tabbita, vengo da Napoli ed ho 30 anni. Vivo in una provincia a Nord di Napoli nei pressi della “famosissima” Scampia della serie Gomorra, Melito di Napoli. Nella vita sono un grafico e motion designer con una nascente passione per l’illustrazione digitale.
Come nasce la tua passione per l’arte?
La mia passione per l’arte nasce con quella per il disegno durante i primi anni delle medie, vidi un disegno di Dragon Ball realizzato da un’amica di mio fratello e decisi di provare a disegnare anche io. Il disegno mi ha ha fatto poi avvicinare al modo del Liceo Artistico, da lì in poi, dopo anni lunghi di studio perché la voglia era poca, mi diplomai specializzandomi in scultura. Sempre stato appassionato anche di musica e cinema, quindi ho sempre visto l’arte, sotto tutte le sue sfumature, come un mondo affascinante e pieno anche di risposte. Oggi la coltivo nell’evoluzione che ho poi intrapreso nel tempo, ovvero quella di grafico ed illustratore. Scoprendo ovviamente altre forme di arte, come anche quelle digitali. Ovviamente senza mai perdere di vista le mie “origini” artistiche. Insomma, una bella mostra di Caravaggio, Picasso, Basquiat, Warhol ed altri grandi cerco di non perdermela quando ne ho l’opportunità.
Quando, invece, ti sei avvicinato al mondo della grafica? Ti senti più vicino al mondo dell’arte o a quello della grafica?
Per puro caso a dire la verità. L’unico approccio col mondo della grafica che avevo avuto, prima di iscrivermi all’Accademia di Belle Arti di Napoli, credo fu “What Women Want” il film con Gibson dove lui era un pubblicitario per un’azienda di Chicago. Infatti i primi tempi mi sentivo un pesce fuor d’acqua, continuavo a chiedermi se fosse realmente la strada giusta. Dovetti studiare per il test d’ingresso cose che non conoscevo minimamente. Non conoscevo neanche il significato di “Graphic Designer”. Per non parlare poi dei software e del loro utilizzo.
Se mi sento più vicino all’arte o alla grafica? Non lo so sinceramente, non mi sento un’artista e poi come parola fa anche un po’ paura. Mi piace pensare di vivere su di un ponte che collega due mondi che tanto sembrano vicini ma che in fondo sono distanti.
Guardando i tuoi progetti, ciò che ci colpisce è il tuo utilizzo dei colori. Cosa cerchi di comunicare tramite le tue grafiche e che ruolo hanno i colori?
I colori hanno iniziato ad avere un significato più forte nel mio modo di lavorare da quasi due anni, non che prima non ce l’avessero, ma adesso hanno un’importanza estetica molto fondamentale. Con loro riesco a comunicare ancor di più l’idea che può esserci dietro ad un mio lavoro. Credo che il mio approccio verso i colori sia cambiato dal progetto “human instant” per poi evolversi sempre di più fino ai miei ultimi lavori.
Con le mie grafiche cerco di comunicare quasi sempre idee, pensieri, filosofie, stati d’animo ed emozioni, tutto quello che ci rende in qualche modo umani. Qualche volta però posso anche pubblicare dei semplici “esercizi di stile”.
In un certo senso, i tuoi progetti si spingono sempre oltre la realtà fisica delle cose. Come definiresti il tuo stile?
Non mi definirei. Se mi definisco “finisco”. Sono sempre in continua ricerca di caratteristiche e stili. Io ammiro e forse invidio un po’ le persone/artisti che per un lungo periodo portano avanti delle precise caratteristiche, uno stile definito creandosi così un’impronta, riconoscibile a chiunque. Ci ho provato, non mi si addice e neanche ci riesco, sono un essere mutevole, in continua evoluzione, in perenne ricerca di cose che possano farmi dire “Wow! Vorrei provarci anch’io”. Mi piacerebbe essere riconoscibile nelle idee, nei pensieri. Forse per questo ora lavoro su progetti oltre la realtà fisica, su una sorta di surrealismi. Grandi personaggi della storia, soprattutto artisti, da Bowie a Picasso, passando per Warhol, i Beatles fino ai Radiohead (per citarne alcuni) hanno avuto i loro periodi, Bowie addirittura divenne Ziggy per un periodo, fino ad “ucciderlo” per poi rinascere in altro. I Radiohead hanno avuto evoluzioni continue nei loro album, non sono un’identità definita, ma sono comunque riconoscibili. Essere riconoscibili senza definirsi in qualcosa, sarebbe bello. Mi auguro di essere stato chiaro nel mio caos.
La voglia di superare la realtà e crearne una personale viene da un’esigenza personale, diciamo che la realtà vera non è delle migliori e questa potrebbe già essere un’ottima motivazione, no?! Forse prima cercavo di superarla togliendo cose, nei miei vecchi lavori trovate in primo piano l’essenzialità delle cose, delle persone, dei soggetti. Ridurre al minimo, era quella la ricerca. Poi, facendo ricerca di nuovi artisti, ho notato altre cose fantastiche, “correnti” verrebbero chiamate sui libri di storia dell’arte. Quindi ho iniziato a prendere ispirazione da questi nuovi designer, artisti, persone insomma, ed ho cercato ma in realtà sto ancora cercando, di imparare questo nuovo approccio (perché non ci si avvicina ad un mondo e si è subito bravi, bisogna studiare determinate tecniche per ottenere certi risultati) e qui ho iniziato non a limitarmi nel togliere il superfluo ma a sostituirlo con altro.
Non ho un modo ben preciso con il quale scelgo i soggetti, mi affido molto alle sensazioni. Come già detto in precedenza cerco sempre di comunicare un pensiero, uno stato d’animo in genere. Qualche volta posso anche partire con le idee ben chiare, come ho fatto con il lavoro sull’ambiente “Take Care” oppure con “Sergio” cercando di comunicare una mia idea, ovvero che in quel momento politico in Italia, caro Presidente, pensaci tu, so che stai soffrendo come tutti noi a vedere questi tizi che vogliono andare su di una piattaforma digitale per decidere cose importanti.
Forse, pensandoci meglio, i soggetti che prediligo sono principalmente quelli femminili. L’universo femminile è affascinante sotto ogni punto di vista. Ritrarre, illustrare o comunque comunicarlo tramite ovviamente il mio punto di vista, quello che di un uomo è sempre complicato, credo però (forse ora peccherò un po’ di presunzione) di avere una sensibilità, ma anche una sorta di rispetto tale da poter “affrontare” le loro emozioni.
Hai dei riferimenti da cui prendi ispirazione per le tue rappresentazioni?
Certo! In ogni mio periodo espressivo ho avuto dei punti di riferimento, alcuni restano, altri cambiano. Per un lungo periodo ho cercato di ispirarmi molto ai lavori ed alla tecnica di persone come Malika Favre, Coco Davez, Olimpia Zagnoli, Sebastian Schwamm, Markus Magnusson, Emanuele Colombo, James Curran, Simon Landrein e tanti altri che ora mi sfuggono. Negli ultimi mesi ho scoperto artisti dai quali prendo molta ispirazione, uno su tutti Magdiel Lopez, ma anche Jeremy Rieger che ha un approccio al layout ed alla composizione minimal che adoro, Silica per come lavora le immagini, l’uso dei font ed altro, Xemrind, ecc.
Di Malika Favre sono sempre rimasto colpito dalla cura delle forme che da ai suoi soggetti. Un lavoro che è difficile da notare ma che è immenso. Poi l’uso delle tinte piatte è ammirevole, come lo è quello di Coco Davez dalla quale ho preso tanto per il progetto human instant ma che hanno due sensi e due filosofie differenti. Di Coco si deve ammirare l’uso dei colori in quanto colori reali, i suoi lavori sono per la maggior parte veri e propri dipinti su tela, semplici e complicati alla stesso modo. Tele enormi, ho provato anch’io a riportare su tela certi miei lavori ma poi ho dovuto accantonare per “momentanea” incapacità (ahahaha).
Emanuele Colombo, Markus e James sono invece di ispirazione per il mio lato di motion designer. Emanuele credo sia tra i migliori d’Italia, assieme anche a gente delle studio Nerdo di Torino. Mentre Markus è forse il maestro dei giorni d’oggi, per come i suoi fantastici tempi di animazione.
Di Malika Favre mi piace il suo Van Gogh ed il suo Color and Light (credo entrambe per il New Yorker). Di Coco Davez vi consiglio un po’ tutto per l’utilizzo dei colori. Dei motion designers spulciatevi un po’ di tutto che sono dei mostri.
Magdiel Lopez è stata una scoperta improvvisa, ero lì che lavoro ad una brand identity per un mio cliente, cercavo ispirazioni sui colori, sull’uso dei gradienti essendo una tendenza molto in voga nel mondo orientale ed in crescita in America, di poco in quel periodo in Italia, qualche accenno dal Nord Europa ma poca roba. Terminato il lavoro per questo cliente ho continuato ad approfondire questo nuovo mondo, mi sono ritrovato in un modo di luci, neon, vaporwave, surrealismi, fotomanipolazioni fino ad arrivare su questo profilo Instagram dove guardavo e pensavo “ma queste cose sono fantastiche, che lavoro bellissimo c’è dietro. Come ci riesce?”. Così sono partito da quest’ultima domanda, ho tenuto l’idea dei poster (che già usavo in precedenza ma non con serialità) ma senza farlo quotidianamente come fanno tantissimi altri designer e grafici. Così mi sono ritrovato a giocare con i colori, come se fossi tornato in un certo senso un bambino con i suoi barattolini di pittura.
Il tuo profilo Instagram è la tua galleria personale: tramite esso si può vedere l’evoluzione del tuo stile. Cosa è cambiato nel tuo modo di fare arte? In cosa ti senti migliorato e su cosa pensi di dover lavorare ancora?
Sì, credo che dalla mia gallery si possa notare perfettamente il mio continuo cambiamento, la ricerca di nuovi stili e nuovi mondi espressivi. Cerco di mettermi in gioco affrontando tante cose diverse, cercando comunque di non perdere di vista anche quello che il mio lato professionale nella vita, ovvero provare ad essere un buon Visual Designer, ed in questo mi sento molto migliorato, come credo di esser migliorato nell’attitudine verso i progetti, sia personali che esterni. Forse l’approccio alla ricerca è stato uno step importante, credo sia necessario per tutti i tipi di professioni ma soprattutto passioni. Allo stesso tempo sento che non è ancora abbastanza, forse non lo sarà mai soprattutto per una persona come me, che è spesso insoddisfatta del proprio operato, magari è per questo che sono sempre lì alla ricerca di nuove espressività. Credo di dover migliorare nelle idee e nelle fantasie oltre che alla parte tecnica. Quella si impara, il resto è molto più complicato. E poi nella conoscenza.
Tra tutti i tuoi progetti, ce n’è uno a cui sei particolarmente legato?
Un po’ a tutti, di ognuno ho un ricordo, un aneddoto che mi fa in qualche modo sorridere. Vi faccio una mini classifica:
- i tributi a film come “Dalla Buyers Club” e “Leon” per l’impegno che ho messo nel realizzarli, perché mi sono spinto così oltre da scoprire delle capacità realizzative che non pensavo di avere. Avevo superato un piccolo step importante sul piano dell’autoconsapevolezza;
- poi ci metto “Lucio Dalla” della collezione “Human Instant” perché credo sia tra i lavori meglio riusciti di quella linea (ma magari sono troppo critico e mi sbaglio);
- Anche “Vincent” merita una piccola nomina perché realizzato dopo un viaggio in Olanda e vedere alcune delle sue opere più importanti mi ha fatto tanto bene all’anima, è stato un bel momento della mia vita;
- ci inserisco anche “Miss Baker” per una questione di impegno tecnico nel realizzarlo ed anche perché è un mio tributo al Grande Gatsby di Fitzgerald;
- infine ci metto i miei ultimi lavori, perché qui ci sto mettendo tanto impegno, dalla ricerca alla realizzazione. Una voglia di superarmi continua. Mi riferisco ovviamente alla linea dei Poster. Ne cito alcuni in particolare: Numeri 09, 14, 15 e l’ultimo realizzato solo ieri, il 19.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Il progetto principale è quello di riuscire a creare un portale personale dove le persone potranno aver modo di acquistare i miei lavori e dove magari poter essere un punto di riferimento per giovani illustratori/designer/visual artist come per me lo sono quelli citati precedentemente.
Uno dei miei piccoli sogni resta quello di poter collaborare un giorno con artisti del mondo della musica, del cinema o magari con brand importanti.
C’è qualcosa che vorresti dire ai nostri lettori?
Siate estremamente curiosi delle vostre passioni, cercate di approfondirle a tal punto da capire, magari, che forse non è quella la vostra strada ma un’altra che avete incrociato durante questo lungo percorso.
Viaggiate per scoprire nuovi colori, nuovi volti e culture. Fare ricerca da un computer, un libro è importante, sicuramente, ma scoprire nuove realtà, nuove sensibilità è probabilmente la ricerca che ci può aiutare di più.
Marco Tabbita for Siloud
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