Qualche tempo fa avevamo parlato di Paolo Previte, in arte Piramide, e del suo primo brano “California” (clicca qui per l’intervista). Nato a Crotone e cresciuto a stretto contatto con la musica, il suo trasferimento a Roma per gli studi universitari è stato cruciale per la sua carriera da cantante. Dopo il buon riscontro ottenuto con California e dopo un’estate trascorsa tra interviste e concerti, Paolo si è recato a Milano al MassiveArts per produrre 6 nuove canzoni. Lì, oltre che una produzione eccellente, è riuscito ad ‘annusare’ l’ambiente dei big, entrando in contatto con artisti del calibro di Charlie Charles, Emis Killa, Annalisa, i Canova, Irama, e gli One Republic.
Il 26 novembre è stato pubblicato il suo nuovo singolo, Sainte-Chapelle, anticipazione del nuovo progetto dell’artista. Con uno stile più proiettato verso il futuro della musica italiana, questo singolo che ci è piaciuto tanto.
Sainte-Chapelle è la canzone degli sbalzi di umore, di quando sei legato ad una persona, ma tra di voi ci sono infiniti ostacoli. Allora non capisci se sia bene continuare il rapporto o meno. I ritmi sono forti e le parole sono cattive e politicamente scorrette, ma in realtà sono il vero pensiero di chi si trova in questa situazione. Quando una relazione non sta andando bene, ti ritrovi a gioire per un motivo e a piangere qualche minuto dopo, mentre le persone che provano a consolarti, non si accorgono di essere inutili, fastidiose, non necessarie, perché è la tua lotta e nessuno ti conosce meglio di te. Quindi la canzone non è una storia, ma è uno stato d’animo, in cui fai finta di augurare il male a persone a cui vuoi bene. I giochi di parole sono in ogni caso la centralità del pezzo.
Come nasce Sainte-Chapelle?
Sainte-Chapelle è nata di getto, quando un pomeriggio mi sono messo a scrivere e ne è venuta fuori la prima bozza. L’ho subito registrata a casa e ho notato da subito una piccola magia. In realtà qualche frase già l’avevo ideata da tempo, ma quando hai un’idea in testa diventa realtà solo quando la metti su carta. Poi ecco la prima, rudimentale, versione della canzone. All’inizio il nome del file era “Padella” per distinguerla nell’immediato. Poi, pian piano, piccole aggiunte, come il trillo iniziale, la chitarra acustica, fino ad arrivare alla consacrazione del ritornello per come è adesso, ma solo in studio di registrazione. Lo switch al nome Sainte-Chapelle è arrivato nel momento in cui Padella fosse davvero un brutto titolo. In questo caso ha vinto la lingua straniera e l’idea della maestosità che promana dalla Sainte-Chapel di Parigi. Certo il riferimento è destinato a cose diverse dalle chiese.
Più che una canzone, Sainte-Chapelle è uno stato d’animo. Cosa hai voluto raccontare nello specifico?
Diciamo che Sainte-Chapelle annovera un utilizzo un po’ strano delle parole, che al primo ascolto sembrano solo una serie di insulti senza un fine ben preciso, specialmente nel ritornello. In realtà il significato è molto profondo e, dopo un’attenta analisi, non può sfuggire dalla psiche dell’ascoltatore. All’interno di alcune relazioni, molto spesso si incappa nell’incompatibilità del carattere e dei desideri degli innamorati, al punto che stare insieme diventa una lotta, un tira e molla, io-tu-tu-io. Questo infelice epilogo porta le persone ad “insultarsi” tra di loro, nonostante il sentimento forte che c’è. Ho visto molto spesso relazioni incompatibili tra le persone e penso che quando una storia d’amore sia alla frutta, quando “chiedi un limone nel senso di bacio, ma ti danno una SODA”, allora sia meglio lasciare andare tutto. La canzone non finisce così, perché non è una storia, è lo stato d’animo di chi si trova invischiato in queste cose: un attimo prima gioisci per un goal del Crotone, l’attimo dopo non sopporti più niente e se cerchi il conforto in altre persone, non faranno che peggiorare la tua situazione con domande bizzarre.
Perché proprio il Crotone?
E’ semplice, perché è una delle cose che stanno con me ovunque io vada. Tifare il Crotone non è un hobby o un mezzo per poter passare il tempo, ma è dare l’ossigeno al sangue nelle tue vene, perché il senso di appartenenza che si esprime attraverso questo tipo è paragonabile a pochissime cose al mondo. I Crotonesi arrivano a guardare il Crotone fin dalla Colombia, è una cosa completamente inspiegabile. Essendo parte della mia vita, l’ho ritenuto degno di una menzione, perché quando segna il Crotone, tutte le preoccupazioni si annullano. Ma Dio, che sofferenza tifare Crotone.
Ci parli della produzione del pezzo?
Il brano nasce da una mia scrittura primaverile e da una prima registrazione, seguita da varie implementazioni tecniche nel tempo, fino ad arrivare a Milano. Milano è il luogo di nascita sulla carta di identità dei miei pezzi, dopo una gravidanza di ben più di 9 mesi. In realtà io dovevo registrare 5 canzoni e Sainte-Chapelle non era in programma. Poi Francesco Coletti del MassiveArts la ascolta e dice “ti sei lasciato a casa il pezzo della vita”. Da lì abbiamo trovato spazio per registrarla. Ho goduto di una batteria brillantemente registrata da Matteo Sarubbi, mentre a tutto il resto ho pensato io, col prezioso ministero di Francesco. Non ritenevo Sainte-Chapelle matura per la registrazione perché sentivo che non aveva ossatura. Il problema si è risolto, nell’estremo godimento, sempre a Milano, dove abbiamo pompato la festa del ritornello ed è uscito qualcosa che, sinceramente, non mi aspettavo. L’esperienza in studio a Milano mi ha insegnato tantissime cose, ho conosciuto gente e vissuto 10 giorni intensissimi.
La registrazione è avvenuta al MassiveArts di Milano. Arrangiamento e testo sono miei, le batterie sono state costruite col mio batterista Dario Aniello, il mixing e la registrazione a cura di Francesco Coletti e il mastering è stato magistralmente eseguito da Alberto Cutolo.
Raccontaci meglio di Milano!
A Milano ho finalmente ficcato il naso nell’ambiente dei big. Ho conosciuto Emis Killa, Irama, Annalisa, i Canova e Sfera. Ho avuto anche modo di chiacchierare con Charlie Charles, i Seveso Casino Palace e gli One-Republic. In particolare con loro. Ciò che mi porto dietro è la serenità che molti di loro sono anche riusciti a trasmettermi. Era bello uscire dalla sala e incontrarli nella hall dello studio, sempre pronti a chiacchierare e a c***eggiare allegramente.
Cos’è successo con gli One-Republic?
Beh… semplicemente mi hanno chiesto di fargli sentire le produzioni. In quell’attimo, con me c’era Drew Brown, il chitarrista, con cui parlavo normalmente. Così lui fa: “cosa ci fai qui?” ed io ho risposto che stavo registrando, anche se eravamo ormai in fase di mixing, e lui mi fa “e allora andiamo a sentire”. Ne ha ascoltate 3, senza distogliere per un attimo gli occhi dal monitor e, per farla breve, siamo stati 45 minuti a parlare delle produzioni, di quanto, a detta sua, siano fresche e non banali, ma allo stesso tempo contano una mano classica e italiana, realizzate in “poco” tempo: “I would kill for just 9 days in studio“. Poi lo stesso ha parlato di come affrontare “out there”, là fuori. Racconta che lo spirito che lo ha sempre mosso fosse stato quello di suonare e ricercare le vibrazioni nella pancia, senza guardare quante persone lo ascoltano, senza fregarsi del parere della gente, perché tanto quello va e viene. Sarà vero, però intanto il loro video più visto su YouTube arriva ai 2,2 miliardi. Dopodiché ci siamo salutati perché “aveva una moglie preoccupata da telefonare”. Alla fine, firme, autografi e foto con tutti i componenti.
In che cosa consiste il progetto di Sainte-Chapelle?
Sainte-Chapelle è l’inedito che precede altri quattro release di prima delle feste natalizie. Si tratta del mio percorso milanese, che dopo qualche mese vedrà finalmente la luce. Sono felicissimo di poter regalare al mondo più canzoni mie, in maniera tale da poter sorreggere con maggior forza il peso dell’artista che ho creato. Io spero vivamente che, come è stato con California, la gente possa dirmi “ti prego, suonami la tua canzone, mi piace tanto!”.
California, il tuo primo singolo, aveva uno stile un po’ più classico; Sainte-Chapelle, a sua volta, ha un’impronta più pop-moderna. Cosa cambia e cosa accomuna i due brani?
California aveva uno stampo più retrò, consistente nel mio essere tempo fa. In poche parole mi sono tolto tanti sassolini dalla scarpa, giocando con le acustiche e godendo di un eccellente registrazione, mixing e mastering operati da Max a Crotone.
Sainte-Chapelle e le altre, invece, rappresentano già la generazione successiva a California, quella che per me può essere considerata una cazzo di rinascita, dove finalmente sono riuscito a esprimermi su tutti i punti di vista. Sainte-Chapelle è esplosiva, è vita, è parolacce, ma dopo di lei, con le altre canzoni, si potranno vedere la mia parte elettronica, il mio flow e le mie storie nel cassetto.
Impegni nel breve periodo?
Diamine, sì! La grande novità è che sono riuscito a farmi una band, ma io penso di non aver fondato una band di musicisti di supporto e basta. Ho una band di fratelli, di mostri, di persone stacanoviste che una volta a settimana mollano tutto e vengono a fare le canzoni mie. Non credo di potergli esser mai sufficientemente grato, però una cosa vorrei farla in questa sede, presentarveli. Alla batteria c’è Dario Aniello, che mi ha accompagnato a Milano e ha registrato prestigiose batterie. Alla chitarra c’è Gabriele Mastrangeli, che mi ha dato tanti, tanti spunti per farmi capire come mettere una chitarra in gruppo come Dio comanda. Al basso c’è Matteo Costantino, che in realtà non suona il basso, ma ci scrive poesie.
L’8 dicembre saremo al Pentatonic di Roma e per l’occasione stiamo preparando una performance di alto livello. Vedere per credere.
Non possiamo che chiederti, a questo punto… come andrà il progetto?
Se mi intervista Siloud prima di tutti, è sicuro che andrà bene! Sicuramente sto dando il massimo e la gente se ne sta rendendo conto. Rendere un progetto virale non è semplice, ma quello che mi convince a migliorare sempre di più, non è lo stream in sé e per sé, ma entrare nello stomaco della gente, per dare il microfono a tutti i sentimenti.
L’aspirazione di Piramide è affermarsi come il cantautore della gente, una persona che vuole trovare le parole che normalmente sono difficili da trovare nei normali dialoghi. La sua musica parla, racconta e consiglia allo stesso tempo.
Sainte-Chapelle è davvero il suo “pezzo della vita“, siamo curiosi di sapere se gli altri brani del suo prossimo progetto riusciranno ad essere all’altezza!
AD
Credits: Paolo Canto