Moci, aka Marco Colagrande, vive di musica dall’età di 12 anni. Il cantautore indie rock, è un insieme di vibrazioni che non sfociano mai nella banalità, un perfetto insieme di atmosfere, situazioni ed idee. I versi che scrive sono il frutto di un’adolescenza vissuta con gli occhi completamente bendati. A breve sarà online il suo album. Oggi, però, gli abbiamo fatto qualche domanda per conoscerlo meglio e scoprire cosa c’è dietro la sua musicalità e il suo ultimo pezzo “Primo Piano”.
Nome: Marco Cognome: Colagrande In arte: Moci Età: 22 Città: Roma Nazionalità: italiano Brani pubblicati: Perso, Fugazi, Freddo, Pensieri Bellissimi Album pubblicati: Scusa EP (Demo mixtape) Periodo di attività: dal 2017 Genere musicale: Indie Rock Piattaforme: YouTube, Spotify, SoundCloud, Apple music ecc.

Chi c’è dietro Moci?
Mi chiamo Marco, ho 22 anni e sono nato e cresciuto a Roma. La musica è la mia unica passione da quando ho 12 anni, dopo aver studiato lingue al liceo ho deciso di dedicarmici al 100%, studiando fonia ed investendo sulla musica che scrivevo.
Quando Marco è diventato Moci e perché questo nome d’arte?
Lo sono sempre stato, è un nomignolo che mi ha dato mamma quando avevo 3 anni che non mi si è mai tolto di dosso; le dava un certo sentore di “mobridezza”. Quando ho deciso di trovarmi un nome d’arte non ci ho dovuto pensare molto.
Quando ti sei avvicinato alla musica e cosa non ti ci ha fatto più allontanare?
A farmi avvicinare alla musica sono state le cassette di Elio e le storie tese nella Punto di mio padre e Let it be dei Beatles. Ad ancorarmici a vita sono stati il mio primo concerto di Elio e il pomeriggio in cui mio cugino mi ha insegnato a suonare Let it be al basso elettrico.
C’è tanta roba dietro la tua musica e, quindi, immaginiamo anche tanti artisti diversi. Quali sono i tuoi riferimenti musicali?
Beh sicuramente i già citati EELST e Beatles, ma potrei farti un elenco infinito di gruppi rock “da papà” che vanno dal ‘58 al ‘98. Attualmente mi sento molto influenzato dalla scena indipendente inglese ed americana, sempre a cavallo tra l’indie pop più tradizionale, il jazz, il lo-fi e la new wave. Adoro Mac De Marco, King Krule, Puma Blue, Uknown mortal Orchestra ed i Peach Pit.
Non sei mai riuscito a superare il trauma della post-adolescenza, o almeno così hai dichiarato. Diciamo che questa attitudine sfocia nella tua musica e la rende geniale. Come definiresti ciò che fai?
Per tutta una serie di circostanze ho vissuto l’adolescenza con gli occhi completamente bendati rispetto a ciò che sentivo e provavo. Ritrovarmi solo e fronteggiare i miei sentimenti e l’idea di un futuro passato a tenermi di più la mano ha fatto sì che iniziassi a scrivere musica in italiano e decidere di farlo da solo. Per questo spesso mi trovo a scrivere versi ripetuti fino allo sfinimento, rime spudoratamente baciate per infastidire, giochi di parole di dubbio gusto. Odio prendere tutto sul serio per più di 2-3 minuti.
Moci è un insieme di vibrazioni che non sfociano mai nella banalità, un perfetto insieme di atmosfere, situazioni ed idee. In cosa si caratterizza il tuo sound e come sei riuscito a definirlo?
Ci è voluto un po’, passando per tonnellate di Gigabyte di provini cestinati e litri di sudore in saletta, ma quello che per me ha sempre cambiato le carte in tavola è la musica degli altri. Ascoltare “2” di Mac De Marco e “Multi Love” degli UMO ha talmente sconvolto la mente mia e del mio chitarrista Alessio Leo che abbiamo deciso di riarrangiare tutti i brani, da quel momento la strada è stata tutta in discesa.
Nel 2019 hai pubblicato alcuni brani e hai poi cominciato a suonare nei locali cult della capitale. Come si è evoluta la tua musica attraverso le tue varie produzioni?
I lavori di produzione sono stati affiancati per tutto il tempo, prima ancora che nascesse il progetto Moci, dal mio chitarrista e collega universitario Alessio Leo. Abbiamo iniziato insieme, poi per i miei primi due pezzi ho lavorato con Matteo Iacobis, da cui ho imparato moltissimo, soprattutto per quel che riguarda una certa “educazione” durante la fase di produzione. Dopo l’esperienza con Matteo ho deciso di dedicarmi da solo, e con l’aiuto di Alessio, alle produzioni, potando “Freddo” in studio da Giancarlo Barbati (Giancane). Lavorare con Giancarlo è stato talmente determinante e soddisfacente per me ed Alessio che abbiamo deciso con sicurezza di concludere le produzioni del disco insieme a lui: musicista e persona eccezionale e vera, soprattutto.
“Primo Piano” è il secondo singolo estratto dall’album di Moci in uscita in inverno e che definisci come un movie sonoro di una certa smania che ci colpisce in alcuni giorni di cielo terso. Come nasce questo brano?
Nasce in un pomeriggio di merda, qualcuno non mi rispondeva al telefono, ero in ritardo per qualcos’altro che ora non mi viene in mente ed ero bloccato nel traffico a Piazza Vescovìo per colpa di qualche stronzo in doppia fila. La Radio passava un brano in due accordi che, una volta spenta, non riuscivo a tirarmi fuori dalla testa. Ho cominciato a canticchiare delle parole a caso su quegli accordi ed in poche ore è nata una canzone, una fotografia di quel brutto, ma non così tanto, momento.
Tra i tuoi progetti a breve termine c’è un album. Cosa puoi anticiparci? Quali sono, invece, i tuoi progetti a lungo termine?
Diciamo che il disco è già bello che registrato e pronto per invadere il mondo, aspettiamo solo che i tempi siano maturi diciamo. Al momento ci sono altri singoli estratti in uscita e non vedo l’ora di spararli fuori, la genesi di questo album è durata fin troppo. Progetti a lungo termine? Spaccare i locali di mezza Italia appena sarà possibile e, se Sbaglio Dischi e Carosello me lo permettono ancora, registrare un secondo disco. Potrei averlo già scritto.
C’è qualcosa che vorresti dire ai nostri lettori?
Non è tanto una questione pensare “out of the box” e basta, quanto una questione di ricordarsi di farlo sempre per se stessi, per nessun altro al mondo e soprattutto di non smettere mai di andarne fieri.
Moci for Siloud
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