Oggi vi parleremo di Emanuele Colandrea e del suo ep intitolato “I Miei Amici immaginari“. Un progetto costituito da tre brani con altrettante collaborazioni, tra cui troviamo un artista che spesso ho ritrovato nella stessa concezione musicale di Emanuele, il cantautore Galoni. Da questo duo prende vita “Siamo Stati Alla Moda, brano che ho ascoltato in loop. La strumentale, costituita da un continuo arpeggio di chitarra e linee melodiche estese, riesce a catapultare l’ascoltatore da tutt’altra parte, quasi in un altro mondo, fatto di sensazioni e semplicità. Un brano e un testo d’altri tempi, che si allontanano dal mercato musicale globale degli ultimi anni, ma che nonostante questo ci fa sentire molto vicini. La stessa vicinanza sfocia nel voler vivere tali sensazioni persino dal vivo, immaginando come potrebbe essere sentire Emanuele e Galoni non solo tramite Spotify. “Siamo Stati Alla Moda” è fatta di ricordi, emozioni passate, di come tutto resta immortale nella nostra mente nonostante il tempo.
Invece, la collaborazione con Lucio Leoni in “Il Mio Amico Parla Male“, possiamo racchiuderla in pochi versi della canzone:
“A me per esempio piacerebbe non essere un fascista
Uno che sta sempre in lista
Uno senza casco in vespa”
Il brano racchiude il messaggio di Emanuele, una denuncia all’omologazione quotidiana dell’essere umano, alla superficialità che traspare in forma lieve.
L’artista prende le distanze da tutto quello che oramai sembra scontato, ponendo un accento in particolare sul vivere con ideali giusti e sull’amore nelle varie sfumature.
Infine abbiamo “I Mie Amici Immaginari” con Roberto Angelini, il cui motore trainante è una continua metafora dell’artista. I pensieri si riflettono diventando quasi amici con cui poter confrontarsi, avendoli sempre al proprio fianco in modo tale da guardare il mondo da un’altra angolazione.
Con tali premesse, le tre canzoni di Emanuele Colandrea sono tutte da vivere con cuore e anima. Vi auguro un buon ascolto.

Ciao Emanuele, sono molto lieto di scambiare due parole con te. Prima di tutto, come ti sei avvicinato alla mondo della musica?
Credo per colpa di una maestra che mi sentì canticchiare in bagno alle elementari e mi suggerì come una delle voci per la recita di fine anno.
Quando hai capito che far musica fosse la tua strada?
Quando grazie alla musica cominciai a rimorchiare, prima ero un disastro.
A parte gli scherzi e a proposito di strade, forse dopo aver ascoltato “highway 61 revisited” di Bob Dylan.
Vivi questa passione a 360° partendo dal canto fino ad arrivare al maneggiare chitarra e batteria, sei un vero polistrumentista. É stata una necessità artistica avere padronanza di più profili musicali?
Diciamo che ho l’indole del tutto fare, mi piace saper usare un cacciavite ma anche un martello o un piccone. Ho solo trasferito questa attitudine anche alla musica, spero con un risultato decente.
Un aspetto davvero particolare nei tuoi brani è la parte testuale: i testi sono così schietti e sinceri che sembrano appartenere anche a noi che ti ascoltiamo.
C’è stato un artista o un fattore che ha influito sul tuo modo di scrivere?
Di artisti ce ne sono stati tanti, uno e forse il più importante l’ho anche citato prima. Diciamo che mi hanno sempre affascinato quelli meno attenti ai giudizi e alle abitudini del loro pubblico o del pubblico in generale, quelli che ce l’hanno fatta come effetto collaterale, come naturale conseguenza della loro musica e nient’altro.
Da poco hai rilasciato “I miei amici Immaginari”, un Ep con tre pezzi pieni di significato. In che modo hai affrontato la loro realizzazione? Qualcosa in particolare ti ha dato ispirazione
Volevo realizzare un piccolo concept dove far convivere amici immaginari e amici reali. Ho scritto prima i pezzi e poi ho pensato a chi somigliavano, a chi avrebbe potuto arricchirli. Così mi sono venuti in mente i 3 featuring.
Gestisci la musica in ogni dettaglio da solo oppure tramite un team?
Al momento più che altro da solo, ma dal prossimo disco vorrei buttarmi su un lavoro più condiviso, ho già in mente qualcuno ma non lo posso dire perché ancora devo chiederglielo
Ricordo te alla batteria ad un concerto estivo con Galoni, un’immagine che mi è rimasta allegramente impressa era che entrambi suonavate scalzi. Dal lato del pubblico percepì una forte genuinità nella vostra musica ma anche un forte feeling tra colleghi. Ci parli del rapporto con Galoni?
Con Galoni ci conosciamo da sempre essendo cresciuti nello stesso paese, ma in realtà tutto è cominciato qualche anno fa col suo primo disco. Ci unisce un’amicizia, una stima ma forse ancor di più un approccio nel fare quello che facciamo, che forse ci permette di mantenere quella naturale genuinità musicale.
Il tuo primo brano che ho ascoltato è “Prometto”, era circa il 2010. Se Emanuele dovesse guardare indietro, a sé stesso di quegli anni, cosa è cambiato?
Continuo a farmi promesse e a cercare di mantenerle. Molte cose inevitabilmente sono cambiate, sono stati smussati molti spigoli che avevo nella testa e per fortuna adesso bevo molto di meno!
Osservandoti da fuori, oltre alla musica traspare un fortissimo legame con la tua compagna che emerge stesso nell’arte. A volte le persone hanno tante qualità, ma gli manca quel piccolo tassello per spingersi oltre, per non lasciar minimo spazio all’esitazione, per te lei è anche questo?
Sicuramente si e spero che per lei sia lo stesso
C’è qualcosa che vorresti dire ai nostri lettori?
Speriamo di vederci presto.
Emanuele Colandrea for Siloud