Lince è lo pseudonimo di Michael Lorenzelli, un ventinovenne creativo di Torino che dopo anni nel commercio di tessuti ha fondato Italia90, un custom brand. Con la sua musica ha dato un tocco di originalità al rap old school, mantenendo vivi molti tratti della sua personalità ed utilizzando sonorità e caratteri stilistici più moderni.
“Qualità Italiana” è il suo ultimo progetto che nasce da una collaborazione con Thai Smoke. In sei tracce sono riusciti a racchiudere molte influenze, tra liriche serrate su bassi 808 e collaborazioni con molte promesse del rap torinese.
Nome: Michael Cognome: Lorenzelli In arte: Lince o Michael Sorriso Età: 29 Città: Torino Nazionalità: Italiana Brani pubblicati: Lincentivo, Aspetti, Buongiorno caffè, Qualcosa di Grosso, Bombay Album pubblicati: Qualità Italiana, Lincentivo, Lincertezza Periodo di attività: dal 2009 Genere musicale: Rap Piattaforme: YouTube, Spotify

Chi c’è dietro Lince?
Lince è lo pseudonimo di Michael Lorenzelli, un ventinovenne creativo di Torino che dopo anni nel commercio di tessuti ha fondato Italia90, un custom brand. Parallelamente fa l’autore per altri, si occupa della madre e del suo amazzone fronte gialla.
Qual è il significato del tuo nome d’arte e in che modo ti rappresenta?
Da piccolo rimasi affascinato dal carattere schivo e solitario della lince. Visto che stare per gli affari miei mi riusciva benissimo, l’ho scelto subito come pseudonimo.
Ti sei avvicinato al rap a 15 anni, sperimentando da subito il palco partecipando a battle di freestyle. Quando ti sei avvicinato alla musica in generale e come sei poi approdato al rap?
Il primo rapper che ascoltai fu Caparezza. Andai a cercare il suo disco in un bazar sotto casa, che vendeva dischi e altro. Il proprietario del bazar era tale Psyco Killa, membro storico dei Gate Keepaz, una delle crew più importanti dei ’90. Avevo 13 anni e quando gli chiesi se avesse il disco di Capa, mi rispose che quello non era hip hop. Naturalmente non sapevo di cosa stesse parlando, ma da lì in poi mi appassionai alla cultura e iniziai a farne parte (pur rimanendo estimatore di Caparezza).
Dalle battle passai alle prime registrazioni in studio, poi fondai una crew che si chiamava “Milizia Postatomica”, di cui a Torino resta qualche leggenda e qualche testimonianza. Con loro calcammo diversi palchi. Poi dal 2016 feci il mio primo disco solista e continuai in solitaria.
Quali sono i tuoi riferimenti artistici e da quali generi musicali sei influenzato per la tua musica?
Uno pseudonimo che utilizzo per WhatsApp è “Guccini Mane“. Non che Guccini fosse il mio preferito, ma ho ascoltato molto Faber, Gaber, Battiato e Battisti. In realtà ho uno pseudonimo “trap” per ognuno di questi nomi. Diciamo che sono stato influenzato sia dalla cantautorato italiano che dal rap più zarro. Non capisco perché in Italia chi ascolta Guè Pequeno non possa ascoltare Murubutu e viceversa. Temo di essere uno dei pochi.
Il genere tramite con cui cerchi di comunicare ha una storia fatta proprio di comunicazione e racconti. Cosa cerchi di trasmettere a chi ti ascolta?
Principalmente utilizzo la musica come sfogo e autoanalisi. Spesso prendo una posizione su temi di attualità o politica, quindi ogni tanto spero di riuscire a dare un terzo punto di vista, su argomenti nei quali la gente tende a dividersi in due fazioni. Mi piace instillare dubbi e ribaltare verità fittizie.
Con la tua musica hai dato un tocco di originalità al rap old school, mantenendo vivi molti tratti della tua personalità ed utilizzando sonorità e caratteri stilistici più moderni. Come sei riuscito a definire il tuo sound e quali sono, più in generale, i tratti distintivi del tuo modo di fare musica?
Credo che sino ad oggi il mio tratto distintivo sia stato esclusivamente autorale, nel senso che ho spaziato su così tanti generi che dall’esterno era difficile etichettarmi in qualche sottogenere. Ho fatto uno storytelling con Murubutu in cui racconto la storia di una ragazza finita nel mondo della prostituzione, ma il beat scelto era mezzo trap e prodotto da un americano, quando magari il pubblico si sarebbe aspettato un classico boom bap.
Nell’ultimo periodo ho iniziato a lavorare con un team di produttori ristretto e stiamo trovando un suono distintivo, ma per ora la mia peculiarità è stata la duttilità, che se da un lato crea difficoltà nel farsi riconoscere subito, dall’altro lato mi ha permesso di non annoiarmi e non fermare le sperimentazioni.
“Qualità Italiana” è il tuo ultimo progetto che nasce da una collaborazione con Thai Smoke. Come vi siete conosciuti e perché avete deciso di collaborare?
Io e Thai siamo amici da una vita. Dieci anni fa ci davamo appuntamento al parco con un amico beatboxer e passavamo il pomeriggio a fare freestyle. Lui poi ha continuato nelle battle e ne ha vinte parecchie. Visto che ultimamente ci si vedeva più spesso e visto che ci si è sempre confrontati sulle nuove uscite, spoilerandosi a vicenda gli inediti, abbiamo pensato di fare qualcosa assieme che andasse oltre il singolo. Da qui è nata l’idea dell’EP.
In sei tracce avete racchiuso molte influenze, tra liriche serrate su bassi 808 e collaborazioni con molte promesse del rap torinese. Come nasce “Qualità Italiana” e quanta Torino si ci può trovare all’interno?
Qualità italiana nasce letteralmente in quarantena. Abbiamo ricevuto molti dei beat durante il lockdown, sicché abbiamo scritto le strofe e le abbiamo mandate ai rapper di Torino coi quali abbiamo un legame e per i quali nutriamo stima. Hanno risposto tutti in tempo zero e nel raggio di un mese abbiamo portato tutti in studio e abbiamo completato le registrazioni.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ne ho diversi, ma per il breve termine non posso dire nulla. L’obiettivo della vita comunque è fare uno studio di registrazione sul golfo di Policastro.
C’è qualcosa che vorresti dire ai nostri lettori?
Ciao amici, smettete di ascoltare il lol rap e rendete questo genere più adulto. Grazie!
Lince for Siloud
Instagram: @linceislince Facebook: @linceislince Credits: Morgana Grancia, Conza Press