InTheMusic: Mico Argirò, interview

Domenico Argirò, in arte e nella vita Mico Argirò, è un cantautore e compositore di base a Milano ma dalle origini campane. Scrive canzoni, comunica e combatte in questa maniera, definendosi spesso un “raccontatore di storie”. Le sue composizioni, in bilico tra momenti malinconici e ritmi energici, mostrano chiaramente qual è lo stile che lo caratterizza.
“Hijab”, il suo ultimo singolo, nasce dal clima multietnico che vive a Milano, dal contatto stretto con realtà culturali molto diverse dalle proprie e, a volte, più sorprendenti di quanto si creda.

Nome: Domenico (Mico)
Cognome: Argirò
In arte: Mico Argirò
Età: 31
Città: Agropoli (SA), Milano
Nazionalità: Italiana
Brani pubblicati: Hijab, Il polacco, Un altro Giugno73, ecc.
Album pubblicati: Vorrei che morissi d’arte
Periodo di attività: dal 2009
Genere musicale: Cantautore
Piattaforme: Spotify, YouTube, Vevo, Apple Music, Deezer, Amazon Music, ecc.

Chi c’è dietro Mico Argirò?

Dietro Mico Argirò credo ci sia un bambino che ancora si meraviglia e ha voglia di fare nonostante la disillusione del mondo. Scrivo canzoni, comunico e combatto in questa maniera, mi definisco spesso un “raccontatore di storie”.

Come nasce il tuo nome d’arte e come si ricollega al tuo personaggio artistico?

In realtà il mio non è un vero e proprio nome d’arte, vengo chiamato così dalla nascita, non mi riconosco nel nome Domenico, non mi giro nemmeno se mi chiamano così.
“Mico” è un diminutivo calabrese che portava mio nonno, sono stato chiamato così da sempre e in tutti contesti; è anche un modo per mantenere memoria, le mie origini, nonostante poi sia cresciuto ad Agropoli, in Campania, e adesso viva a Milano.

Il fatto di non essermi inventato un nome, magari un Mico Tattico Elettrico, Theparmigiana o simili, credo testimoni il fatto che cerco di raccontare il mondo attraverso i miei occhi, con quanta più sincerità possibile, senza troppi arzigogoli o mode.

Ad oggi sei un cantautore e compositore di musiche per teatro. Facendo un passo indietro, come ti sei avvicinato alla musica e qual è stato il tuo percorso in questo mondo?

Amo la musica fin da bambino, sono sempre stato rapito da chi suonava la chitarra e, crescendo, ho scoperto che le canzoni erano il modo migliore per me di comunicare, anche proprio di analizzare e capire il mondo.

Ho iniziato a scrivere e cantare, ho fatto cose belle e cose brutte, piano piano sono cresciuto, cambiato, maturato e adesso eccomi qui.

Come sei arrivato al teatro?

Un caso fortuito di amici registi che hanno creduto potessi fare qualcosa di bello prestando la mia musica ad un’arte diversa, forse un po’ avevano ragione visto che poi ho partecipato a molti spettacoli, soprattutto con la musica dal vivo.

La musica per il teatro è un mondo a parte nel quale devi saper creare l’atmosfera, calare lo spettatore nel momento… non è una musica protagonista o primadonna, ma un supporto, seppure fondamentale, al testo e alla scena.

Le tue composizioni, in bilico tra momenti malinconici e ritmi energici, mostrano chiaramente qual è lo stile che ti caratterizza. Come definiresti il tuo modo di fare musica?

Vario, ma coerente. Mi piace sperimentare, mischiare gli elementi e fare di testa mia, sempre però con un occhio alla storia che racconto, ai sentimenti, ai contenuti.
Mi piace l’energia, mi piace il concetto, mi piace l’emozione; la mia musica è questo, un insieme di storie di pazzi, amori ed energia libera.

Quali sono i tuoi riferimenti artistici e, tra questi, quali sono quelli che ti influenzano di più?

Nella prima fase della mia musica sicuramente i riferimenti fondamentali erano i cantautori italiani, De Andrè in testa, poi mi sono aperto alle musiche popolari del mondo, partendo sempre dal Sud Italia, e arrivando alle elaborazioni moderne di musica popolare. Ho scoperto tardi il pop, il grunge, il rock. Mio riferimento oggi sono quei musicisti liberi che non fanno una musica che sia “simile a” o che “suoni come”, ma che siano personali, unici. Sto cercando di arrivare a questo.

“Hijab” è il titolo del tuo ultimo singolo. Sia a livello di tematiche trattate che di sound, come nasce questo brano?

Hijab racconta una storia di sesso con una ragazza islamica, col velo addosso. L’idea, seppure ponga le basi nella verità, nasce dal clima multietnico che vivo a Milano, dal contatto stretto con realtà culturali molto diverse dalla nostra e, a volte, più sorprendenti di quanto si creda.

Musicalmente l’idea nasce da un bar che frequento, quasi per soli arabi, nel quale viene sparata forte una musica in arabo, un po’ dance, un po’ pop, ma dai ritmi e dai suoni per me strani: ho cercato di portare questo nella mia musica, interpretarla alla mia maniera. Da qui poi ho avuto l’idea di mischiare italiano, arabo e dialetto e ho pensato subito alla voce unica di Pietra Montecorvino, che ha subito creduto nel progetto.

In realtà, fino ad oggi, sono molte le produzioni che portano la tua firma. Ci parleresti anche dei tuoi progetti meno recenti, mettendo in luce l’evoluzione della tua musica negli anni?

Ho iniziato con due raccolte autoprodotte e registrate in home recording nella mia cameretta, indie vero e senza gloria. In quelle canzoni raccontavo storie di persone ai margini, miei sentimenti e molto si sentiva l’influenza del cantautorato classico. Poi è venuta l’ora di “Felicita. Una canzone crepuscolare” e “Risveglio”, due singoli nei quali vedo l’inizio di un cambiamento nella mia musica, pure se rimanendo ancora germinale.

Nel 2016, “Il polacco” è un singolo che racconta la storia di un viaggiatore suo malgrado, un migrante dell’est, sfondò le 120mila visualizzazioni su FanPage e subito dopo uscì un disco “Vorrei che morissi d’arte”, nel quale il cantautorato si ibrida con tanti generi musicali, secondo il mio gusto di allora e secondo mie idee di aderenza al contenuto.

“Un altro Giugno73” è invece un pezzo acustico, ma con un sound secondo me molto particolare, nel quale si mischiano e diventano strumento i suoni della ferrovia; grazie a questo pezzo sono partito per un bel tour in tutta Italia, tra locali e house concert.
Infine “Hijab” segna un cambiamento che maturo da un po’, una musica che mischi elettronico e acustico, lingue diverse e un po’ di irriverenza. Nei prossimi tempi ascolterete altro su questa strada.

Quali sono i tuoi progetti futuri e dove vorresti arrivare?

Come dicevo, “Hijab” fa parte di una serie di canzoni che usciranno nei prossimi tempi, tra singoli e disco, ricche di collaborazioni e mie sperimentazioni.

Ho pronto un live molto elettronico e ballabile del quale sono entusiasta, ma non so quando partiremo. Sinceramente spero presto.

C’è qualcosa che vorresti dire ai nostri lettori?

Io voglio ringraziare chi ha dedicato qualche minuto della sua vita a queste parole. Oggi scoprire un artista, dedicarsi all’arte, soprattutto quella fuori dal mainstream, è un atto rivoluzionario. Serve interesse, serve forza, serve tanto impegno per cambiare il mondo. Perché si può.

Mico Argirò for Siloud

Instagram: @micoargiro
Facebook: @mico.argiro.page
YouTube: Mico Argirò

Credits: Novenovepi

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