Quello d’Arezzo è un progetto musicale, con ormai 5 anni di esperienza alle spalle. Un nome d’arte irriverente, inusuale che non si dimentica facilmente. Nel 2015 erano 4, poi sono diventati 5, ora sono in 2, le trasformazioni sono state tante e con loro si è evoluto il sound e la musica che creano. Il 19 settembre è uscito l’EP “Complicazioni” con cui hanno dato voce alla seconda vita di Quello d’Arezzo. 6 le tracce che hanno deciso di includere, ognuna descrive con interpretazione personale le diverse sensazioni dei rapporti umani d’amore. L’arrangiamento, poi, è stato fatto staccandosi dai canoni attuali e adattandosi ai loro gusti personali. A voi non resta che scoprire di più leggendo questa intervista!
Band: QdA - Quello d’Arezzo
Componenti: Roberto Bernardini, Carlo Solimani
Età: 40, 32
Città: Firenze, Sofia
Nazionalità: Italiana
Album pubblicati: QdA- Quello d’Arezzo, Postumi, Complicazioni
Periodo di attività: dal 2015
Genere musicale: indie rock, indie pop
Piattaforme: Spotify, Bandcamp

“Quello d’Arezzo” è un progetto musicale, con ormai 5 anni di esperienza alle spalle, ma chi si nasconde dietro questo gruppo?
In 5 anni ne sono successe di cose! Abbiamo cambiato varie formazioni e idee musicali, siamo rimasti io (Roberto Bernardini) e Carlo Solimani, ci siamo sempre trovati molto in sintonia, io scrivo le canzoni e lui le arrangia e fa la produzione musicale. Io vivo tra Firenze, Siena lui invece vive a Sofia in Bulgaria, ci siamo trovati per registrare il disco in Germania, diciamo a metà strada:) Io lavoro con i turisti, meglio dire che ci lavoravo vista la situazione, Carlo invece collabora con varie produzioni musicali
Il vostro nome d’arte non è qualcosa che si ci aspetterebbe da una band, irriverente, inusuale, non si dimentica facilmente. Com’è nato?
Nel 2015 abbiamo cominciato a suonare con un pupazzo sul palco. Il frontman del gruppo, un gioco da ventriloquo sostanzialmente. L’idea era quella di essere la band di un cantautore pupazzo. Lui era Quello d’Arezzo, facevamo finta che suonasse e cantasse. Credo che l’idea sia nata anche dal fatto che in Italia c’è più considerazione per i cantautori o cantanti che delle band, quindi ci siamo inventati un cantautore. Ecco perché ci chiamiamo così. Viviamo in memoria di un pupazzo, anche molto romantico se ci pensi.
2015 eravate 4, poi siete diventati 5, ora siete in 2, le trasformazioni sono state tante e saremmo curiosi di capire come vi siete uniti ed evoluti nel tempo!
La formazione è cambiata tante volte, ma anche la musica che facciamo. All’inizio facevamo un genere che definirei un pop ironico/sarcastico, anche il tipo di spettacolo e di idea che avevamo, compresa la storia del pupazzo era tutto molto diverso da adesso . Io per esempio scrivevo solo i testi, le musiche le scriveva tutte Fabio Marroni. In questo ultimo disco ho scritto sia testi che musiche e Carlo ha arrangiato tutti i pezzi prima non lo aveva mai fatto, almeno non da solo. Ci ha lavorato registrando anche molti degli strumenti nel suo studio a Sofia. É un lavoro molto diverso. Di Quello d’Arezzo ci è rimasto quasi solo il nome.
Il vostro sound è un mix di influenze musicali ben distinte che si uniscono in un genere attualissimo come quello dell’indie-pop/rock. Come definireste il vostro modo di far musica?
Stiamo cercando di fare musica in modo più personale possibile, non ci basiamo su nessuna tendenza del momento. Per esempio la registrazione del disco il missaggio e gli arrangiamenti seguono solo il nostro gusto personale. Ci siamo incontrati a Neckarsulm in Germania a registrare da Stefano Vivaldi perché avevo bisogno di trovarmi in un ambiente che definirei creativo. Conosco Stefano da tanti anni e so che con lui, al di là della fantastica sintonia, non si seguono stereotipi, si sperimenta. Se poi dobbiamo parlare della musica che ascolto direi che mi piace sentire tante cose, per fare esempi e circoscrivere minimamente, di italiani mi piace molto Battisti, gli Avion Travel, Benvegnù. Di internazionali i miei punti di riferimento sono sempre un po’ Arto Lindsay, Ryuichi Sakamoto, Tom ze, David Sylvian però poi ci sono tantissimi altri.
Il 19 settembre è uscito l’EP “Complicazioni” con cui avete dato voce a questa seconda vita di Quello d’Arezzo. Cosa racconta l’album?
L’album è nato dal fatto che in quarantena non sapevo che fare, stavo impazzendo, come tutti forse, chi più chi meno. Parlavo tantissimo in videochiamata o al telefono con tanti amici. É stata un’occasione per avere tempo da dedicare anche a tante persone che non sentivo da anni. Non so perché tra tutti i problemi o le cose belle che ci sono, le storie d’amore con tutte le loro sfaccettature sono sempre quelle che turbano di più le persone. Succedeva quindi che mi raccontavano le loro vicissitudini e io ne ho tratto ispirazione per realizzare questo concept album di 6 pezzi.
6 le tracce che avete deciso di includere, ognuna descrive con interpretazione personale le diverse sensazioni dei rapporti umani d’amore. “Aspetta ancora un po’”, per esempio, è l’amore vivo e vissuto. Come è nato questo brano?
In questa canzone le suggestioni sono nate sia sentendo racconti di amici che esperienze personali, in particolare questo pezzo è più di ispirazione personale. Mi piace comunque pensare, come esplicito nella canzone, che l’amore possa anche essere la vittoria sulle paranoie e sulle inquietudini in generale.
“La cosa più sconveniente”, invece, chiude un amore e lo racconta, un pezzo forte che non lascia nulla al caso. Qual è stata l’ispirazione per questo singolo?
“La cosa più sconveniente” è il momento del risveglio dall’amore, una cosa sconveniente, per l’appunto, che purtroppo però può capitare. Passa l’infatuazione, finiscono i benefici della relazione ed è il momento in cui una persona si chiede quando sia arrivata questa fine, perché generalmente è difficile capirlo sul momento, ci si arriva sempre dopo quando ci si fa la classica domanda “ chi me lo ha fatto fare?”.
Ben inteso sono tutte mie opinioni, in ogni caso essendo testi di canzoni e non un saggio, lasciano molto spazio all’interpretazione personale e alle varie combinazioni logiche e illogiche che vuole trovare l’ascoltatore.
Avete arrangiato musica e voci non seguendo le tendenze del momento ma bensì il vostro gusto personale. Perché questa scelta?
La musica oggi secondo me, più sembra un unico suono pieno e compatto e più piace, si cerca solo questo tipo di effetto, noi non lo abbiamo fatto. Per fare esempi tecnici, la voce non è stata compressa o trattata in modo da farla diventare più piena e senza sbalzi di volume. Ho deciso deliberatamente di lasciarla più naturale possibile anche un po’ incerta, mi piace molto è più viva, è un’interpretazione secondo me più interessante. Poi nel missaggio abbiamo messo più alti alcuni strumenti non abbiamo cercato un appiattimento che definirei radiofonico. Per esempio nella canzone “raccontami” la voce è più bassa e il sintetizzatore non mi stancavo mai di sentirlo più alto, infatti è altissimo, quando entra ti fa saltare sulla sedia.
Dove arriverà Quello d’Arezzo nei prossimi tempi?
Spero possa arrivare lontano per poi tornare idealmente nella sua patria onirica Arezzo. Non si può considerare una patria reale visto che Quello d’Arezzo è un personaggio di fantasia e che nessuno di noi viene da Arezzo.
C’è qualcosa che vorreste dire ai nostri lettori?
Vorrei chiedere ai vostri lettori di darci una possibilità. Di ascoltare il nostro EP, di lasciarsi trasportare nell’ascolto senza pregiudizi e godersi questo momento di relax.
Quello d’Arezzo for Siloud
Facebook: @quellodarezzo