Andrea Mastropietro, in arte l’Albero, a 16 anni ha comprato delle cassette dei Beatles e di Lucio Battisti e da lì in poi la sua vita è stata insieme alla musica. Dopo un passato in un collettivo, nel 2015 ha deciso dar vita al suo progetto da solista, con uno stile che definisce ‘musica in italiano’.
“Dietro al sole” è il suo ultimo progetto, un album che racconta proprio la storia di Andrea.
Nome: Andrea Cognome: Mastropietro In arte: l'Albero Età: 37 Città: Firenze Nazionalità: Italiana Brani pubblicati: Cenere, Quando viene sera, Esci fuori Album pubblicati: Oltre quello che c'è, Solo al sole Periodo di attività: dal 2015 Genere musicale: Pop, Folk, Psych Piattaforme: YouTube, Spotify, Apple Music, Deezer, Amazon Music, ecc.

Dicci qualcosa in più su di te, Andrea!
Sono nato alla nella metà degli anni ‘80 a Firenze. A 16 anni ho comprato delle cassette dei Beatles e di Lucio Battisti. Da lì in poi la mia vita è stata insieme alla musica, ho iniziato a suonare e a scrivere. Dal 2009 al 2015 sono stato membro dei The Vickers (Psychedelic/Pop) con i quali ho pubblicato degli album e fatto numerosi tour, molti dei quali all’estero, abbiamo suonato in importanti festival come il Primavera Sound di Barcellona. Dal 2015 ho dato vita al mio progetto solista in italiano sotto il nome l’Albero.
Il tuo nome d’arte è davvero particolare: come nasce L’Albero?
Non sono molto bravo con i nomi dei progetti musicali, ma stavolta devo dire che sono soddisfatto della mia scelta! Credo che gli alberi siano come le persone. Ogni persona ha una parte ben visibile, quella della socialità, quella che ognuno di noi decide di mostrare agli altri. Questa trova corrispondenza negli alberi nella chioma, nelle foglie, nei rami e nel tronco, cioè tutto quello che appare. Poi c’è l’altra parte, quella che è più intima e misteriosa, la parte che le persone decidono di nascondere e di far vedere come quando e a chi vogliono. Nell’albero la parte nascosta sono le radici, fitte e lunghe radici che se ne stanno sottoterra per metri e metri. Esse tengono gli alberi attaccati il più possibile al terreno perché non volino via. Noi uomini (non tutti) siamo perennemente ed eternamente divisi tra ciò che è più terreno e materiale e quello che invece è più nobile, alto, direi anche irraggiungibile, viviamo cioè tra la realtà più cinica e il sogno, esattamente come fanno gli alberi, i quali in tutta la loro saggezza e altezza sembrano protendersi e allungarsi verso il cielo ma nello stesso tempo sono trattenuti dalle radici che nascondono e che li rendono così inevitabilmente umani e materiali.
Oggi sei un solista, prima hai fatto parte di un collettivo, ma quando ha messo radice l’amore per la musica nella tua vita?
Come dicevo prima, ho avuto una folgorazione con la musica quando ho iniziato ad ascoltare canzoni straordinarie come quelle dei Beatles o di Lucio Battisti. L’importanza di questi artisti è che ti trasmettono la voglia di suonare e di esprimersi, e così è stato per me. Ho sentito subito che quella musica mi avrebbe cambiato la vita, sono stato travolto e non ho opposto resistenza naturalmente, mi sono lanciato in questo viaggio personale musicale che ormai va avanti da qualche anno. A un certo punto per me l’unica cosa che contava nella vita era comprare dischi e scrivere canzoni. Non c’era altro, non volevo altro.
Come anticipato, sei stato parte dei “The Vickers”, con cui ti sei esibito in centinaia di concerti in Europa. Quanto questa esperienza ha impattato sul tuo percorso nella musica?
L’esperienza con i Vickers ha avuto un impatto fortissimo su di me. Era quello che volevo, suonare in una band, un sogno che si è realizzato. Senza quella esperienza non so nemmeno immaginarmi. Con i Vickers ho scritto canzoni, ho fatto i primi tour, ho incontrato le insidie e le difficoltà che possono esistere nel mondo della musica, come del resto in ogni tipo di lavoro. È un bagaglio senza il quale oggi non sarei quello che sono, nel bene e nel male. Stare in una band è una delle cose più belle che si possano fare. Essere un solista, avere un proprio progetto personale è molto diverso e aver conosciuto la dimensione del gruppo è stato importante, come si fa musica insieme non la si fa da soli, è un altro mondo.
Nel 2015, invece, la scelta di dar vita al tuo progetto da solista. Oggi, come identificheresti la tua musica?
Forse “musica in italiano”, identificherei così la mia musica. Non sarebbe corretto dire musica italiana, se lo è, lo è solo in parte, e spiego perché. Lo sforzo che ho fatto in questo mio nuovo lavoro, è quello di coniugare il la passione per le sonorità di origine anglosassone con quella che secondo me è l’esperienza migliore della canzone italiana. La ricerca di questo equilibrio è uno sforzo che mi ha richiesto tanto tempo, e infatti è il disco su cui ho più lavorato da quando faccio musica. Gli artisti italiani a cui mi ispiro di più sono quelli che in passato hanno fatto l’operazione di cui ho parlato in modo straordinario. Parlo di Luigi Tenco, Lucio Battisti, Franco Battiato, Pino Daniele. Essi hanno saputo dare voce alla loro voglia di internazionalità e universalità riuscendo allo stesso tempo a rimanere anche italiani. Io penso che queste esperienze artistiche possano essere ripetute anche oggi, in forma diversa, preservando quel grande spirito che la cultura italiana possedeva negli anni passati.
A fine marzo esce “Allegria”, un EP di quattro brani che raccoglie tutte le uscite precedenti. Cosa puoi dirci su questo progetto?
L’EP uscito nel marzo del 2020 è stato un modo per mettere un punto prima di pubblicare il secondo album. Avevo desiderio di raccogliere i singoli “Cenere” e “Quando viene sera” però volevo anche registrare una canzone nuova. L’ho terminata poco prima che fossero attive le restrizioni dovute alla pandemia Covid. Mi sono interrogato sull’allegria, che non è la felicità, è cosa ben diversa, mi interessava questa differenza. La canzone è stata scritta e registrata in breve tempo, ho cercato di mantenerne tutta la spontaneità e la freschezza, non volevo impiegarci troppo. Nella canzone dico: “Allegria, sei così rara che non ci sono abituato / io cado dalle nuvole / sei un vestito da indossare un po’ per specchiarsi e dimenticare ciò che mi fa male / di questa vita crudele”. E’ una constatazione di una sensazione così rara e caduca. Amo quando le canzoni parlano di questo tipo di sensazioni, come la canzone di Pino Daniele “Basta na jurnata ‘e sole”.
“Solo al sole”, invece, è il nuovo disco uscito il 13 novembre. Qual è la storia che si nasconde dietro questo nuovo album?
La storia è la mia. Parlo di quello che mi succede, di cosa penso. È l’esistenza umana che mi affascina e che mi muove. Il perché delle cose, soprattutto le domande considerate più banali, quelle che quando uno cresce e diventa adulto non affronta più. Che pensi del cielo? Perché a volte piangiamo? Mi piace la contemporaneità? La accetto? Chi sono io? Saprei definirmi? E potrei continuare all’infinito. In questo disco non ho usato molti filtri, dico le cose mettendomi abbastanza a nudo, come in brani come “Cenere” oppure “Oh mia diletta!”. Avevo l’esigenza di apparire nel modo più vero possibile, perché penso che a un credo estetico corrisponda una linea etica, non credo nella musica fasulla e penso che la musica italiana oggi abbia un gran bisogno di verità.
Nel disco la fascinazione per ciò che è stato della musica e della cultura italiana rivive non in senso nostalgico e malinconico, ma come ispirazione e spinta a rendere migliore quello che si fa oggi. Ciò che è stato può rivivere. Vita nuova dalla cenere, come canto nella canzone “Solo al sole”. Ogni disco è una fotografia di quello che si è mentre lo si scrive e produce. Con la frase “solo al sole” volevo comunicare questa idea di solitudine e di scomodità. Capitano dei momenti della vita in cui ci sentiamo più vulnerabili, soli ed esposti alla luce, si è come si è e non si può far niente tranne che aspettare che i ragionamenti e i pensieri si raccolgano e maturino per poterci consentire di ripartire verso nuovi scenari che la vita ci mette davanti. Si muore e si rinasce, continuamente. Questo disco fotografa quel momento di transizione tra il passato e quello che sarà, chiamarlo futuro per me è troppo impegnativo.
Un filo conduttore forte collega tutti i brani. Cosa volevi trasmettere ai tuoi ascoltatori?
Il filo conduttore potrebbe essere la passione e l’amore. E quando dico amore lo intendo nel senso più generale del termine, non solo quello dei sentimenti che si nutrono per delle persone, ma anche le cose, i propri eroi e miti per esempio. L’amore -qualunque cosa esso sia e qualunque siano le sue forme- è quello che ci distingue dalle macchine, non dovremmo mai dimenticarcelo. Chi si vergogna di parlare di amore non affronta una parte fondamentale della vita. Se Lennon non avesse scritto di amore oggi non avremmo il suo primo disco solista “John Lennon Plastic Ono Band” per me uno dei dischi che sta alla base di ogni forma di cantautorato. Naturalmente quando c’è l’amore c’è anche automaticamente il “non amore”, altrettanto importante. Anche quello recita una parte nelle mie canzoni. In questo disco ho tenuto a fare dichiarazioni d’amore a cose e persone ma anche a specificare quello che sento lontano da me e che non posso o non riesco ad amare. Come questa contemporaneità per esempio, che trovo lontanissima dal mio modo di vedere le cose. Direi che la rifiuto quasi totalmente ogni giorno.
Cosa hai in cantiere per i prossimi tempi?
Per ora cercherò di promuovere il più possibile questo disco e devo dire sinceramente che in questo momento sto pensando solo a “Solo al sole”. Visti i tempi che stiamo attraversando mi trovo in difficoltà a progettare il futuro, cosa che peraltro non faccio quasi mai. L’unica cosa che so è che mi farò trovare pronto non appena si potrà tornare a suonare dal vivo, sarà una grande festa, la cosa difficile da accettare ora come ora è non sapere quando questa avrà inizio.
C’è qualcosa che vorresti dire ai nostri lettori?
Vorrei dire di amare la musica, soprattutto “la grande musica” come direbbe Paolo Conte, quella fatta con verità e passione, perché essa salva. Soprattutto in questo periodo in cui dobbiamo affrontare una pandemia non pensiamo che un disco sia una cosa superflua. Un disco che esce in questo momento storico è un disco ancora più importante e prezioso. E questo discorso va allargato chiaramente a tutte le forme di espressione artistica.
L’Albero for Siloud
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