Dopo aver girato varie città, Giorgio Moretti è ritornato a Roma, sua città natale, per iniziare il suo percorso con la musica. La scelta di mantenere il suo nome come nome d’arte è dovuta al suo voler andare controcorrente, perché in questo momento sembra quasi che non si possa essere un artista se non si trova un nickname. “Quasi mai” è il suo disco d’esordio che ha dato molti frutti nel periodo del lockdown, per poi essere concluso una volta finita la quarantena.
Nome: Giorgio
Cognome: Moretti
In arte: Giorgio Moretti
Età: 24
Città: Roma
Nazionalità: Italiana
Brani pubblicati: Serio?!, Radical Love, Lolita, Manuale per giovani astronauti, Alba
Album pubblicati: Quasi mai
Periodo di attività: dal 2019
Genere musical: Alternative pop
Piattaforme: Spotify, Apple Music, YouTube

Chi è Giorgio Moretti nella vita di tutti i giorni?
Giorgio Moretti è diverse persone nella stessa persona e penso che questo sia il frutto delle diverse esperienze che mi hanno portato a diventare così. Sono nato e cresciuto a Roma e ho frequentato il liceo classico, ma appena finito il liceo ho deciso di trasferirmi a Torino, dove ho iniziato a studiare cinema. Lasciare così presto la propria città, soprattutto quando si tratta di una metropoli come Roma, non è stato facile, ma negli anni a Torino ho avuto la possibilità di fare esperienze completamente nuove e libere, cosa che non avrei mai potuto fare a casa. Dopo il trasferimento ho passato un breve periodo della mia vita a Los Angeles: sono riuscito a trascorrere un’intera estate lì grazie alla scuola di cinema che frequentavo. Appena ho finito gli studi ho deciso che era arrivato il momento di tornare a Roma, avevo appena compiuto 23 anni, per dedicarmi completamente al progetto musicale su cui stavo sperimentando da un po’ di tempo: avevo iniziato per caso con le canzoni scritte per gioco insieme ai miei coinquilini, ma poi mi sono accorto che quella cosa mi piaceva e avrei voluto iniziare a scrivere qualcosa che provocasse in me una reale emozione
Perché hai mantenuto il tuo nome come nome d’arte?
Un po’ perché mi piace andare controcorrente e la corrente di adesso sembra essere quella del nome d’arte: sembra quasi che tu non possa essere un artista se non trovi un nickname. Forse in questo momento mettere il proprio nome, oltre che alla propria faccia, in un progetto è l’atto più coraggioso che potessi fare: volevo mettermi a nudo davanti al pubblico, senza filtri; forse è da questo desiderio che nasce il mio “non-nome d’arte”
Come ti sei appassionato alla musica e qual è il tuo percorso fino ad oggi?
La musica è sempre stata presente nella mia vita, sin da piccolo, ma penso che il ruolo che occupa ora nella mia vita derivi dagli ultimi anni di liceo e dagli anni trascorsi a Torino. Mi sono accorto che la musica e i concerti avevano il potere di unire persone e far nascere amicizie: è grazie alla musica che ho scoperto tanti amici che ora sono tra i più importanti nella mia vita. E sentire una persona parlare di musica è un modo di conoscerla meglio: a volte penso di poter capire molto di più dalla musica che ascolta una persona, piuttosto che da come parla. Infatti è proprio in questi anni che ho iniziato a scrivere le mie, di canzoni. Forse cercavo solo un modo per capirmi meglio. E ho iniziato dalla cameretta, come penso un po’ tutti. Le prime canzoni che scrivevo le cantavo in cucina insieme ai miei coinquilini. Poi ho iniziato a partecipare ad alcune serate “open-mic” sia a Torino, sia a Roma. Ad ogni serata c’erano sì e no una ventina di persone (di cui la metà solo perché avrebbe suonato o cantato), però era divertente poter conoscere gente e farsi conoscere attraverso la propria musica. Alla fine il discorso torna sempre lì: la musica, nella mia vita, è sempre servita a far incontrare persone.
Quali sono i tuoi riferimenti musicali?
Se una persona qualsiasi prendesse il mio Spotify e vedesse tutte le canzoni che ascolto e le playlist che mi sono fatto nel corso degli anni mi prenderebbe per pazzo. Questo perché mi piacciono generi e periodi musicali diversi, a volte anche in contrasto tra di loro. Mi piace Battiato come mi piacciono i suoni di Kalkbrenner, ascolto l’alternative rock americano e inglese (da Mac de Marco ai 1975), ma mi piace anche il pop contemporaneo o la disco music anni 80. Cerco di essere il più eterogeneo possibile. Però se devo scegliere un artista che più di tutti mi aiuta nei momenti di difficoltà, ed è da anni sempre presente in ciò che ascolto, faccio il nome di Bon Iver.
Quali sono i caratteri principali delle tue produzioni e come descriveresti ciò che fai?
Il lavoro sulle produzioni c’entra tanto con il discorso fatto prima sulla musica che ascolto. Tutte le mie canzoni partono da una scrittura chitarra e voce. Quando poi porto un pezzo finito a Meiden, riflettiamo su quale sia il vestito migliore, a livello di produzione, per valorizzare il testo, le parole o la voce. Ascoltando il mio album si vede come da un brano all’altro cambia la scelta delle reference per creare quell’eterogeneità di cui parlavo prima. Un brano può essere più tendente al funky o alla disco music, un altro può avere influenze elettroniche, mentre un altro ancora può essere tranquillamente lasciato come un brano acustico, solo chitarra e voce, per dare più spazio alle parole o all’immaginazione.
“Quasi mai” è il tuo disco d’esordio, anticipato già da due brani e che vede la direzione artistica e la produzione musicale di Meiden. Come hai lavorato a questo album?
Il lavoro con Meiden è iniziato con il 2020. Era da un po’ di tempo che stavo cercando un produttore con cui collaborare per la mia musica, ma ancora non mi sentivo di aver trovato la persona giusta. Poi ci siamo conosciuti e abbiamo iniziato subito a lavorare ad un brano che poi con il tempo ha smesso di piacermi. Ma ciò che mi aveva elettrizzato era il modo in cui io e Meiden riuscissimo a comunicare musicalmente. Poi c’è stato il lockdown, proprio nel vivo della collaborazione. Eppure tutto il periodo di quarantena è stato per me uno dei più prolifici in assoluto. Ricordo che mi svegliavo ogni giorno e provavo a comporre qualcosa di nuovo e originale. Nel frattempo continuavamo a sentirci, anche se a distanza e gli mandavo le demo che facevo in quel periodo. Appena è finito il lockdown ci siamo chiusi in studio e abbiamo registrato tutti questi nuovi pezzi che avevo scritto. Dopo l’estate si sono aggiunti un paio di pezzi nuovi e abbiamo capito che avevamo tutto il necessario per completare questo album.
In che relazione questo progetto si pone con le tue produzioni passate?
Rispetto a ciò che ho fatto in passato questo è un album pensato. Ogni canzone nasce come una composizione chitarra e voce, ma il mio desiderio era quello di creare arrangiamenti più elaborati, prendendo ispirazione da generi diversi tra loro, spesso anche in contrasto.
Sei tra i nuovi nomi del panorama autorale romano, con uno stile che canta i sogni e le speranze della tua generazione. Cosa cercherai sempre di comunicare tramite la tua musica?
Spero che ogni canzone scritta mantenga l’emozione che mi ha portato ad avvicinarmi la musica. Quello che mi auguro è che da qui in avanti il mio approccio rimanga invariato nella sua scintilla. Mi piace l’idea di poter cambiare, con il passare degli anni, e sperimentare nuovi sound e stili, ma alla base deve esserci sempre un’emozione che renda tutto il più reale possibile.
Quali progetti hai per il futuro?
Adesso che questo album si è concluso voglio prendermi il tempo per ragionare e sperimentare musicalmente su tutto ciò che pubblicherò in futuro. Ma oltre a tutto quello che riguarda la musica sto continuando a lavorare a progetti visivi e cinematografici.
C’è qualcosa che vorresti dire ai nostri lettori?
Mi auguro che quest’intervista dia la possibilità di leggere in maniera più chiara la poetica che c’è dietro l’album. Poi se posso farmi un augurio, spero presto di poter suonare e cantare questi pezzi davanti a tutte quelle persone che amano condividere insieme la passione per la musica.
Giorgio Moretti for Siloud
Instagram: @scrittodagiorgiomoretti
YouTube: Giorgio Moretti
Credits: Big Time Press