Stefano Pomponi oltre a scrivere canzoni sotto lo pseudonimo di Effenberg si occupa di turismo e forse a breve sarà una guida ambientale. Quello che lo lega alla musica è il piacere di farla e di ascoltarla; gli piace quando la canzone prende forma, prima ancora che sia finita. “Sirene Alate” è il titolo dell’ultimo singolo.
Nome: Stefano Cognome: Pomponi In arte: Effenberg Età: 38 Città: Lucca Nazionalità: Italiana Brani pubblicati: Sirene Alate, Tergicristalli, Elefanti per cena, Buddha con Napoleone, Economia circolare Album pubblicati: Piazza Affari chiude in calo, Elefanti per cena, Il cielo era un corpo coperto Periodo di attività: dal 2015 Genere musicale: Indie popolare Piattaforme: Spotify, Apple Music, YouTube

Chi c’è dietro Effenberg?
Ci sono io, Stefano Pomponi, sono di Lucca e oltre a scrivere canzoni sotto lo pseudonimo di Effenberg mi occupo di turismo e forse a breve sarò una guida ambientale. Insieme a me però ci sono anche i musicisti Paolo Sodini, Emmanuele Modestino, Filippo Guerrieri e Piero Perelli con cui collaboro da diversi anni.
Il tuo nome d’arte deriva dal nome di un ex calciatore tedesco. Perché questo riferimento?
Si, effettivamente è vero. Il mio nome d’arte deriva da Stefan Effenberg, ex centrocampista della Fiorentina e della nazionale tedesca. Quando ero poco più di un bambino con la mia famiglia frequentavamo lo stesso stabilimento balneare del calciatore. Eravamo entrambi clienti del Bagno Eldorado. Ripensandoci anche “Eldorado” non era male come nome d’arte. Comunque Stefan Effenberg me lo ricordo come una persona simpatica, con una strafottenza genuina e sincera. Qualche anno fa, quando mi sono messo a pensare ad un nome d’arte mi è venuto in mente lui. Mi ricordava l’infanzia e la sfrontatezza degli anni 90.
Quando ti sei appassionato alla musica e cosa ti tiene legato ad essa?
Mi sono appassionato alla musica da piccolo anche se sono sempre stato incostante. Mi piaceva la chitarra elettrica, ma ero pigro e non mi esercitavo mai. Quello che mi lega alla musica è il piacere di farla e di ascoltarla. Mi piace quando la canzone prende forma, prima ancora che sia finita. Di solito è il momento più bello. Comunque sarà banale, ma la cosa bella della musica è che comunica alla pancia al cuore e alla testa.
In che modo i tuoi ascolti e la tua musica si influenzano a vicenda?
Il cantautorato e la musica italiana in generale hanno sempre avuto un grande fascino su di me. Ascolto e mi ispiro ai grandi della musica italiana. Da Battisti a Dalla passando per Battiato, Carboni, Sinigallia, Truppi, Edda e molti altri. Insomma mi piace quel tipo di musica lì. Quella che parla di persone e di sentimenti senza cliché.
Hai debuttato nella musica nel 2015 con un album autoprodotto, ma il vero ingresso nella scena musicale italiana indipendente è del 2017. Volendo ripercorrere tutto il tuo percorso artistico fino ad oggi, quali sono stati i momenti più importanti?
Ce ne sono stati molti. Di solito i momenti più importanti hanno in comune un certo disagio iniziale. Tutte le cose che ho fatto uscendo dalla mia comfort zone si sono poi dimostrate le più significative. Per farti un esempio penso a quando sono andato a suonare in carcere o quando ho cantato per la prima volta “Prima Di Partire” insieme a Luca Carboni davanti a tantissime persone senza averla praticamente mai provata.
A che punto sei del processo evolutivo della tua musica e come definiresti quello che fai?
Non saprei dirti a che punto sono, però l’approccio che ho verso la scrittura non è cambiato molto da quando ho cominciato. Adesso forse ho solo un pochino più di mestiere ma cerco di usarlo il meno possibile. Scrivo canzoni che parlano delle persone. Mi piace smascherare le nostre debolezze ma allo stesso tempo cerco di dimostrare che la nostra forza sta proprio nella fragilità.
“Sirene Alate” è il titolo del tuo ultimo singolo, una novella yiddish sull’ultimo giorno dell’umanità. Come nasce questo brano e cosa vuole trasmettere a chi lo ascolta?
Ho preso ispirazione da un romanzo di Jodorwsky “Quando Teresa Si Arrabbiò Con Dio”. In Australia stavano scoppiando i primi incendi, la pandemia era alle porte ma ancora non lo sapevamo. In questa atmosfera, durante un momento di attesa ho buttato giù gran parte del testo di Sirene Alate. Mi sono immaginato una sorta di fine del mondo cercando di mettere in luce gli aspetti più grotteschi, spirituali, materialistici e magici che convivono nell’essere umano. È un brano che ci ricorda la precarietà della vita ma cerca di farlo in modo ironico. La nostra fragilità in quanto esseri viventi è un dato di fatto, bisogna averne coscienza, rispettare la natura e godersi i momenti.
In che modo questo brano si relaziona con le tue produzioni passate e in che modo anticipa quelle future?
Con Sirene Alate ho cercato di raccontare una storia surreale che non parlasse in prima persona delle mie esperienze. C’è una narrativa diversa rispetto alle mie canzoni precedenti. La spiritualità e i sentimenti sono sempre i miei temi preferiti ma in questo brano è come se fossero raccontati da un narratore esterno. Per il futuro vedremo, ho vari brani, alcuni più in linea con Sirene Alate altri diversi.
Quali progetti hai per il futuro?
Siamo in fase di definizione, ci sono molti brani in ballo e chissà che un giorno non diventino un disco.
C’è qualcosa che vorresti dire ai nostri lettori?
Se sono arrivati fino alla decima domanda li ringrazio e li invito ad ascoltare la mia musica.
Effenberg for Siloud
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Credits: Giulia Elefanti, Elliefant Press