InTheMusic: Andrea Di Donna, interview

Vive a Roma, ha 33 anni ed è un musicista: oggi vi parliamo di Andrea Di Donna. Ha sempre ascoltato e amato la musica da quando ha memoria, e probabilmente anche da prima. Poi a un certo punto ha deciso di farla perché sentiva che il modo in cui la organizzava spontaneamente dentro di sè aveva molto in comune con quello che gli piaceva ascoltare. Oggi è un cantante e un musicologo, impiegato da anni in diversi contesti artistici italiani. Il suo ultimo singolo si intitola “Cadillac”.

Nome: Andrea
Cognome: Di Donna
In arte: Andrea Di Donna
Età: 33 anni
Città: Roma
Nazionalità: Italiana
Periodo di attività: dal 2005 
Genere musicale: Folk, Rock, Pop, Blues, World, Elettronica 
Piattaforme: Spotify, YouTube, Apple Music, ecc.

Chi è Andrea Di Donna nella vita di tutti i giorni?

Vivo a Roma, ho 33 anni e sono un musicista. 

Perché hai deciso di mantenere il tuo nome anche in campo artistico?

In verità fino a poco tempo fa non volevo tenere lo stesso nome. All’inizio del 2018 misi su una mia band e la chiamai Andrea e il Mare Calmo. Avrei voluto tenere quel nome, ma confrontandomi con amici e conoscenti, alla fine mi sono convinto che il mio nome fosse quello giusto. L’opinione più diffusa è che Andrea Di Donna sia adattissimo a me perché spesso quando canto la mia voce ha qualcosa di molto femminile. Forse in Cadillac non è proprio così, ma in altri casi può essere. Non mi sembra di avere un nome molto serio. È un portone, non una porta; un ‘spirapolvere, non uno swiffer; un cucchiaio, non una forchetta. È molto da supereroe fallito. Forse proprio per questo alla fine l’ho mantenuto. 

Quando ti sei appassionato alla musica e perché hai voluto diventarne parte attiva?

Ho sempre ascoltato e amato la musica da quando ho memoria, e probabilmente anche da prima. Poi a un certo punto ho deciso di farla io perché sentivo che il modo in cui la organizzavo spontaneamente dentro di me aveva molto in comune con quello che mi piaceva ascoltare. 

Quali sono i generi che più ti influenzano?

Ascolto musica in continuazione. Soprattutto quando sto in macchina. È lì che il ritmo e la melodia hanno davvero senso: nello spostamento perpetuo. La mia voglia matta di spostamento, quasi “alfieriana”, è uno dei motori principali della mia ricerca musicale. Ne consegue che probabilmente il genere musicale che prediligo sia quello in cui la musica attraversa vari stadi, racconta. Ma ci sono mille modi di raccontare: ad esempio attraverso l’intensificazione progressiva di una voce su una base ritmico – armonica sempre uguale, come può accadere in tutti i generi, da Dylan agli U2; o mediante la variazione della base, come può accadere in tutti i generi, dai Jethro Tull a Lorde. Ogni essere umano ha bisogno di urlare su un terreno uniforme, così come di mantenere la calma mentre questo terreno si evolve. 

Sei un cantante e un musicologo, impiegato da anni in diversi contesti artistici italiani. Quali sono stati i momenti più importanti del tuo percorso fino ad oggi?

Il mio percorso musicale è fatto di tantissime tappe indimenticabili. Sicuramente una delle esperienze più recenti che ha significato molto è stato conoscere quella che poi sarebbe diventata la mia band: il Come mamma m’ha fatto. Era l’estate 2015. Mi trovavo al mare con un amico e due ragazze. Per fare colpo su una di loro, decisi di chiedere alla cantante della band che si stava esibendo di passarmi il microfono. Lei mi fa: sai cantare? e io, si certo. Ero un pò ubriaco. Ho iniziato a urlare dentro al microfono tutto quello che avevo dentro. Sono piaciuto, e in breve un mare di persone straordinarie mi hanno accolto e reso parte attiva della loro vita musicale. Quel giorno ha segnato uno spartiacque. Se penso alla persona che ero prima di conoscere il Come mamma m’ha fatto a stento ricordo qualcosa dei suoi connotati. Ed è un bene. Mi fa sentire più giovane non avere interesse nel ricordare chi ero anni fa. È l’adesso che conta o, semmai, il “poco fa”: sono le due cose più vicine al futuro. 

Il tuo stile è un riadattamento in chiave moderna del cantautorato italiano più alto e famoso. Come definiresti il tuo modo di fare musica che oggi ti caratterizza?

È ovvio che ci siano delle fonti, la cultura esiste per questo. Cadillac appartiene a un corpo di brani che ho iniziato a scrivere a partire dalla fine del primo lockdown, ovvero maggio 2020. Fino a quel momento la mia scrittura era incentrata prevalentemente su brani in inglese. È diverso scrivere nella propria lingua. Cantare in una lingua non tua non ti fa sentire veramente che quello che stai dicendo è tuo… è più un’imitazione. L’originalità si ha quando l’imitazione diverge a poco a poco dall’oggetto imitato per divenire sé stessa. Bruce Springsteen negli anni settanta amava e imitava a tratti Roy Orbinson, così come Elvis, ma dato che era concentrato nel tirare fuori dalla propria musica qualcosa di personale, chi lo ascoltava ignorava a chi si stesse ispirando, e riconosceva suo fino in fondo tutto quello che cantava.  Anche se conosci bene il contenuto delle parole di una canzone in una lingua non tua, quelle non appartengono davvero al tuo vissuto ordinario. Io dalla mattina alla sera parlo italiano e ascolto la gente parlare in italiano. Insomma, a un certo punto ho deciso di cantare il mio diario, e di smetterla di pensare solo all’estetica. Mi sono chiuso in casa, e sono andato in overdose di ascolti. Da Lucio Dalla a Fulminacci, da Gazzelle a Rino Gaetano, da Patti Pravo ai Pinguini Tattici Nucleari, da Salmo a Gianna Nannini. 

Prima di parlare del tuo ultimo brano, vorremmo conoscere come si è evoluta negli anni la tua musica. Ti andrebbe di raccontarci di tutte le tue produzioni passate? 

Tutti gli esperimenti musicali del mio passato hanno avuto un meraviglioso inizio e un’inevitabile fine. Nel 2004 ho messo su il mio primo gruppo al liceo, facevamo grunge e volevamo essere i Nirvana, scrivevo tutto io, gli altri non erano in grado di trovare il loro spazio, e non ha funzionato; nel 2007 ho provato a rimettere insieme una parte della band, ho scritto altri brani, tanti, ma gli altri non erano in grado di trovare il loro spazio, e non ha funzionato; nel 2008 mentre il gruppo si sfasciava, ho messo su un duo con una ragazza, Chiara (oggi Claire Audrin). Facevamo folk, tipo Simon and Garfunkel, ma nonostante fosse una cosa bellissima, non ha funzionato; nel 2011, dopo aver trascorso un’intera estate al Valle occupato, suonando con una marea di musicisti fichissimi, ho messo su un altra band. La band era fortissima, ma c’erano troppi che volevano spiccare, in maniere troppo diverse tra loro. Non ha funzionato. Nel 2014 ho fatto una tournée con Filippo Timi. Forse la più bella esperienza artistica della mia vita. Non ero solo attore e musicista, ma anche appassionato spettatore della tragicomica arte di Filippo, che ogni sera, sui più bei palchi d’Italia, accompagnavo con le mie canzoni. Lo spettacolo si chiamava “Skianto”. La cosa ha funzionato, è durata un anno, ma poi ci siamo persi di vista e mi dispiace. Ho prodotto in seguito la mia canzone Half of you, che ho dato alla serie tv “Tutto può succedere”, nel 2015. La stessa canzone era parte dello spettacolo Skianto. Ho incontrato, lo stesso anno, la band di cui ancora faccio parte, il Come mamma m’ha fatto. Ho poi partecipato attivamente alle stupende domeniche di Spaghetti Unplugged, che mi hanno permesso di entrare in contatto con l’ecosistema musicale della mia città, Roma. Negli anni successivi ho tentato di far funzionare alcuni esperimenti di gruppo. L’unico che davvero rimpiango è quello con gli “Andrea e il Mare Calmo”. Un’esperienza folk-rock davvero meravigliosa. Abbiamo provato a lungo e registrato. L’intera vicenda è durata pochi mesi, alla fine non ha funzionato, ma ha dato come frutto immortale l’incisione di sei brani che prima o poi forse pubblicheremo. Sono rimasto in contatto con tutte le persone che mi hanno accompagnato in quasi due decenni di musica ininterrotta. L’evoluzione del mio stile non so quale possa essere stata. È difficile rispondere. Ogni cosa che suono è il risultato degli incontri che ho. Non c’è musica senza rapporto. Cambia di continuo la mentalità del mondo e sicuramente sono cambiato molto da quando ho iniziato. In particolare, adesso desidero ben più di prima che il senso di quello che canto si comprenda davvero. 

Il tuo ultimo singolo si intitola “Cadillac”. Di cosa si parla nel brano e come è stato prodotto? 

Il brano l’ho scritto e prodotto io. Il mix e il master è opera di Fabio Rizzo (Indigo Palermo). È nato di getto, e la versione che ho scelto di pubblicare è quasi la prima in assoluto che ho suonato. Ho deciso di mantenere quella, perché non avrei mai più ritrovato in me la forza di cantare in quel modo. Quando una canzone nasce ti esplode dalle mani, e quel modo di cantarla e di scoprirla di continuo mentre la canti e la ricanti crea un’atmosfera che poi è difficile riplasmare. L’ho scritta dopo il rientro dalla rapida ma intensa vacanza estiva con la mia ragazza, a fine agosto 2020. Guidiamo verso Roma di ritorno dal sud della Francia litigando pesantemente, come ci accade spesso alla fine di ogni viaggio. Ascoltiamo canzoni di Calcutta, dei Pinguini Tattici Nucleari e di altri artisti pop indie italiani… ma su dai… anche dei Green Day. Durante il viaggio di ritorno, si fa largo in me una voglia immensa di comporre, imprigionarmi dentro casa da solo, fino a trovare la giusta strofa e il giusto ritornello. Mi prendo una pausa dal rapporto, perché questa missione mi vuole solo. Mantengo la promessa. Vado a casa e mi chiudo. Ascolto di tutto, a una sola condizione, deve essere in italiano. È così che voglio cantare, è così che nascono i miei pensieri, e se li traduco in un’altra lingua non sono più veri. Ascolto e ascolto e ascolto, fino allo sfinimento, non metto neanche una parola sul foglio. Poi provo con qualcosa di mio. Non esce nulla che vorrei davvero ascoltare. Riprovo. Mi fermo, pausa, bicchiere d’acqua, ricomincio. E va così, all’infinito. Poi alla fine, quando sto per mollare tutto, riprendo in mano la chitarra: accordi e parole escono da soli. Non so dire perché, ma ho subito pensato che fosse qualcosa di molto bello, qualcosa che avrei subito voluto riascoltare. Il mix e master di Fabio Rizzo (Indigo Palermo) è stato essenziale. E’ fondamentale lavorare insieme a chi ti capisce. 

Quali progetti hai per il futuro? 

Oggi sono al capitolo uno. Tuttavia, mi sto già muovendo per produrre il secondo disco con un amico davvero speciale. Sarà completamente un’altra cosa rispetto alle canzoni del primo album, che spero di riuscire a pubblicare quest’anno. 

C’è qualcosa che vorresti dire ai nostri lettori?

Pensate bene a quello che vi piace e fatelo tutti i giorni, altrimenti non sarà mai quello che vi piace. E poi ascoltate la mia Cadillac. 

Andrea Di Donna for Siloud

Instagram: @andreadidonna_official
Facebook: @andreadidonnaofficial
YouTube: Andrea Di Donna

Credits: Annalisa Senatore, Libellula Music

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