InTheMusic: Le Endrigo, interview

Le Endrigo sono i fratelli Gabriele e Matteo Tura insieme all’amico Ludovico Gandellini. Nascono come “Endrigo” a metà degli anni ‘10 in un posto vicino a Brescia , rubano un nome già pronto, usano i pochi accordi che conoscono e si chiudono nella cantina di casa Tura. Da lì in poi hanno fatto tanti progressi e raccolto molti successi nel mondo della musica. Oggi sono tornati con un nuovo articolo determinativo davanti al proprio nome e un disco omonimo.

Band: Le Endrigo
Componenti: Gabriele Tura, Matteo Tura, Ludovico Gandellini
Età: 29,26,26
Città: Brescia
Nazionalità: Italiana
Brani pubblicati: Cose più grandi di te, Stare Soli, Anni Verdi, Questa è la casa, Sobrio, Straight outta Villaggio Sereno
Album pubblicati: Ossa rotte, Occhi rossi, Giovani Leoni, Le Endrigo
Periodo di attività: dal 2015
Genere musicale: Indie
Piattaforme: YouTube, Spotify, Apple Music, Deezer, Amazon Music, ecc.

Chi sono Le Endrigo nella vita quotidiana?

Gabriele e Matteo sono due fratelli, il primo insegnante e l’altro educatore. Ludovico fa il designer. Dopo tanti anni, tutti assieme a Brescia Gabri se n’è scappato a Roma, e ci si trova a metà strada a Bologna, nostra città adottiva.

Siete una band bresciana formata da due fratelli e un amico: come è nata l’idea di questo trio?

Proprio a causa della dinamica descritta il gruppo non è nato da nessuna idea, è “capitato”. Veniamo dal classico posto di provincia stereotipato dove hai poche scelte, e a noi è successo di chiuderci in cantina e provare a scrivere canzoni, finché quelle canzoni ci hanno portato a girare l’Italia e vivere situazioni che mai ci saremmo immaginati.

Una volta eravate Gli Endrigo, ma da poco siete diventati Le Endrigo. Perché questo cambiamento?

Il nome originale, Endrigo, è nato totalmente a caso, legato puramente al suono, in mezzo a mille altri buttati su un foglio di getto. Una volta che la figlia del grande Sergio (artista clamoroso, ad ogni modo) ci ha promesso di non denunciarci ce lo siamo presi. Dopo due dischi abbiamo sentito l’esigenza di farci domande su ciò che volevamo raccontare e soprattutto rappresentare. Potevamo farlo con una canzone o con un disco, ma il nome è qualcosa che ci portiamo dietro in modo ancora più indelebile. Questo piccolo gesto è il nostro modo per dire che non vogliamo più alimentare un sistema patriarcale di cui abbiamo sempre fatto parte anche noi. Non vuole sostituirsi alla voce di chi subisce ogni giorno prevaricazioni e discriminazioni, piuttosto far scattare un punto di domanda in chi ci incontra.

Quali artisti vi hanno maggiormente ispirato nella vostra carriera?

Veniamo dal punk, pur non avendolo mai suonato in senso stretto: Descendents, Fugazi, Against me, Nofx, queste cose. Sicuramente il primo gruppo che ci ha fatto pensare “si può fare anche in italiano” sono stati gli Afterhours, poi qualche tempo dopo i Ministri e tutta la scena indie o come la si vuol chiamare di quegli anni. In realtà ascoltiamo tantissimo hip hop, r’n’b, cantautorato, pop, però magari sono sfumature più difficili da cogliere nei nostri pezzi. Di certo non siamo oltranzisti o tifosi delle chitarre elettriche, proprio per niente.

Quali sono stati i momenti più importanti del vostro percorso nel settore musicale fino ad oggi?

Sicuramente tutti ricordi legati a concerti. Il primo soldout nella nostra città, oppure quando siamo finiti ad aprire concerti di gruppi che amiamo su palchi enormi. Renderci conto da una parte di avere davvero un pubblico che ci segue, e dall’altra parte di saperci conquistare dei completi estranei in mezz’ora, che sono lì per sentire qualcun’altro. A volte gruppi piccoli come il nostro possono sentirsi davvero inutili in mezzo ai giganti dello stream, ma nella vita reale basta una serata giusta per ritrovare tutta la motivazione del mondo.

Il 16 aprile è uscito “Le Endrigo”. In un periodo così difficile come quello della pandemia, in che modo siete riusciti a portare a termine un progetto così tanto importante?

Il disco era praticamente pronto da prima della pandemia, quindi la situazione non ha influito in modo stretto sulla fase di composizione e registrazione. Ciò che è invece stato complicato è decidere le tempistiche con cui farlo uscire. Abbiamo dovuto pazientare molto, fare uscire molti più pezzi di quanto avremmo voluto in anteprima e sicuramente avevamo paura che dopo così tanto stop non ci fosse più nessuno ad aspettarlo. Per fortuna non è stato così, e non vediamo l’ora di portare finalmente queste canzoni sul palco.

Un brano vorremmo soffermarci è “Non Sono Capace”: apre il disco con argomentazioni e linee melodiche forti, come se fosse un manifesto per l’ascoltatore nel far capire cosa gli riservirà nel proseguo. Come è nata l’idea del pezzo e perché metterlo come prima traccia?

Il pezzo è nato di getto, Gabri si è seduto al piano e in meno di un’ora era tutto fatto, magari con qualche parola da limare. Dopo quasi un anno sono arrivati i bellissimi archi del maestro Nicola Manzan aka Bologna Violenta. Proprio per il suo essere così “nudo” e diretto ci è sembrato perfetto come introduzione al disco, per mettere l’ascoltatore già sul chi va la. Probabilmente in un’altra posizione si sarebbe un po’ perso, invece così spiazza immediatamente chi si aspetta un certo tipo di sound da noi.

In Italia spesso si sente dire: “Il rock è morto, il rock è andato”. Nonostante ciò, nell’ultimo periodo i numeri di stream del rock italiano stanno ribaltando un preconcetto popolare, portando visibilità e rivalsa a numerose band. Secondo voi, i giovani sono di nuovo pronti a questo genere?

Onestamente a noi converrebbe cavalcare un po’ questa sorta di ritorno delle chitarre che sembra nell’aria (che poi chissà se ci sarà davvero), ma ad essere completamente sinceri non ce ne frega nulla. Se un ragazzino o una ragazzina nel 2021 non prova nulla ascoltando rock vuol dire che il rock nel 2021 non è in grado di raccontare la loro realtà, che si è arroccato in certi stilemi e magari anche auto ghettizzato. Ci sarà sempre il compagno di classe che scopre i Led Zeppelin in prima media e ci sarà sempre il compagno che se ne sbatte e continua ad ascoltare quello che in quel momento risuona meglio nella sua quotidianità. Viva entrambi. Noi per primi ad essere onesti praticamente non ascoltiamo rock da anni, passata appunto l’infatuazione pre adolescenziale. Ad ogni modo è un genere talmente vasto che anche se sembra sempre invecchiare male di fatto poi non muore mai, e quindi in qualche modo torna.

Come si vedono i Le Endrigo in un’ottica futura?

Abbiamo già scritto tanto materiale nuovo, continueremo a non adagiarci nella nostra comfort zone sperando di avere sempre persone che ci ascoltano con attenzione e mente aperta. Ora la priorità è riuscire a tornare al palco, la nostra vera dimensione, tornare a viaggiare e incontrare nuove persone. Incrociamo tutto l’incrociabile.

C’è qualcosa che vorreste dire ai nostri lettori?

Se siete arrivat* fino a qua, grazie mille per la pazienza. Altrimenti ci avete fatto piangere, content*?

Le Endrigo for Siloud

Instagram: @le_endrigoband
Facebook: @endrigoband

Intervista di Mario Castaldo
Credits: Garrincha Dischi

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