Guesan è l’alterego di Walter Jesus Macrillo, figlio di cultura spagnola e italiana con base a Genova. Il suo primo approccio con il mondo hip-hop e urban sono stati i graffiti, tant’è che oggi il tuo lavoro riguarda l’arte e la grafica. Si è appassionato alla musica grazie al cugino che lo ha spinto in una crew, la ESC. Oggi Guesan vanta tante importnati collaborazioni ed è tornato con “Vino”, un singolo in collaborazione con sonorità fresce ed estive!
Nome: Walter Jesus
Cognome: Macrillo
In arte: Guesan
Età: 27
Città: Genova
Nazionalità: Italo-Spagnola
Periodo di attività: dal 2013
Genere musicale: Hip-hop
Piattaforme: Spotify, Apple Music, ecc.

Chi c’è dietro Guesan?
Mi chiamo Walter, ho 27 anni, vengo da Genova ma sono nato in Spagna da madre spagnola e padre italiano. Mi trasferisco definitivamente a Genova da piccolo, tipo in 3° elementare. Dopo vari traslochi tra un problema economico e l’altro finiamo in varie case popolari. Nel frattempo, io mi appassiono all’hip-hop, coi graffiti prima e con la musica poi, e parallelamente all’arte e alla grafica, che è tutt’ora il mio lavoro.
Da dove esce fuori il tuo nome d’arte?
Il mio soprannome originale era Sangue. Nasceva dall’esigenza di averne uno in italiano e che avesse diciamo un significato, che fosse una parola vera, ascoltavo molto Mondo Marcio e Bassi Maestro, che nel nome avevano per l’appunto parole in italiano e così una notte scelsi Sangue come nome. Col tempo ho invertito le sillabe trasformandolo in Guesan perché mi piaceva di più, semplicemente.
Ti sei appassionato alla musica da adolescente: cosa pensi ti abbia spinto verso questo mondo?
Mi spinse mio cugino. Lui aveva una crew, la ESC, con cui facevano un po’ di tutto, dal rap ai graffiti e mi introdusse in questo mondo, passandomi dei dischi, dei vestiti ecc. Era come per uno degli anni ’80 andare a New York e vedere la cultura da vicino! Un giorno mi passò una compilation di rap italiano “Magiko Hip-Hop Vol2” e un programmino per fare beats e registrare, da lì è venuto tutto spontaneo, come se sentissi l’esigenza di dire la mia. Quando ero più piccolo per via di problemi economici non c’era mai tanta serenità in casa, quindi mi rivedevo in alcuni artisti che ascoltavo e non facevo altro che replicare. Mi faceva sentire meno solo e partecipe di qualcosa.
Quali sono le tue influenze musicali?
Ascolto veramente di tutto anche se mi affeziono a poche cose. Però quando ascolto musica posso passare da De Andrè a Jay Z passando per Mannarino o Guccini. Mi piace la bella scrittura, ne sono attratto, mi stimola. Ma mi piace anche essere spiazzato, quando sentì con attenzione Kanye West per la prima volta rimasi folgorato, non avevo capito niente a parte che, forse, il tipo era un genio. Ho ovviamente degli artisti che mi piacciono più di altri, come appunto Jay Z e Kanye, ma anche molte cose del cantautorato italiano mi piacciono, De Andrè, Guccini, Gaber; per il rap italiano invece sono più “schizzinoso”, ascolto tutto ma poche cose mi impressionano, uno su tutti sicuramente Marracash, ha una capacità di scrivere e descrivere che è assurda, lui mi lascia sempre spiazzato.
Hai fatto molta strada nella musica italiana, dall’entrata agli inizi nella crew Wild Bandana all’attuale pubblicazione con Sony. Ti andrebbe di riassumerci tutto il tuo percorso fino ad oggi?
Credo di essere veramente all’1% del mio percorso, non mi sono ancora tolto neanche un sassolino dalle scarpe. Ho iniziato a scrivere e registrare le prime cose nel 2009/2010. Non ero molto bravo ovviamente, non c’erano punti di riferimento, non avevo neanche internet forse, non sapevo nulla, però lo facevo, veniva da dentro. Il vero percorso inizia nel 2012 quando conosco IZI che ai tempi era, INCREDIBILMENTE, già fan delle prime cose che avevo fatto per esempio con VazTè. Lo conobbi tramite un’ex compagna delle medie, dopo neanche un mese eravamo sotto a fare un mixtape, che poi è diventato culto a Genova, “Macchie di Rorschach”. Unimmo le forze ma soprattutto unimmo i portafogli ecco, eravamo senza una lira ma avevamo quintali di testi da registrare. Poi feci “Mani Sporche Mixtape” nel 2015 mi pare, ero bello confuso, stava arrivando la trap alla quale non mi sentivo di appartenere, a differenza di tutti i miei amici, quindi c’è un miscuglio di ciò che volevo fare e di ciò che “dovevo” diciamo. Non ne sono particolarmente fan ma so che molti ne sono affezionati. La “svolta” a livello artistico arriva nel 2017 quando con Zero Vicious, con il quale ormai faccio coppia fissa, io al microfono e lui alle produzioni, pubblichiamo un album dal nome “BLU”. Il nostro punto di riferimento era “Watch The Trone” nulla di più. La chiamo svolta perché mi fece distaccare dall’idea che io fossi solo ed esclusivamente legato a Drilliguria, Wild Bandana, la trap del 2016 e tutto quel mondo, quel disco mi diede la possibilità di definire il mio personaggio, creando anche una mia nicchia che mi segue costantemente e che vuole ascoltarmi. Poi sono stato fermo 2 anni, pubblicando poi nel 2019 “Charlie Dalton EP”, un appetizer di quello che doveva essere “Nuwanda” che pubblicai nel 2020 ma che annunciavo dal 2017 (questa è l’influenza di Kanye). Nuwanda può essere definita, al momento, la mia Opera Maxima. Quel disco è stato cestinato e recuperato decine di volte ma alla fine siamo mega soddisfatti, al momento è il mio disco preferito. Poi sempre l’anno scorso sono arrivate delle collaborazioni importanti, “Pusher” e “Manhattan” che hanno contribuito a fare vedere all’Italia le mie due facce, da una parte quella del punchliner e dall’altra quella del poeta.
Come definiresti il tuo modo di fare musica e come sei riuscito a trovare uno stile che rappresentasse al meglio la tua identità artistica?
Uno dei primi dischi con cui venni in contatto fu “The Eminem Show”, lo rubai a un amico, scusa Axel, ma è servito per dare un contributo alla Cultura. E quel disco dentro aveva il booklet coi testi. A casa avevo anche una compilation di De Gregori e un album di Bob Marley, anche questi avevano il booklet con i testi. Quindi la scrittura, le parole, sono state fondamentali nel mio primo approccio con la musica. Credo che sia per questo che do così tanta importanza a quello che scrivo e che sia il fulcro della mia identità artistica. Non ho tempo da perdere per dire cose frivole, a meno che non sia una punchline dissacrante che può quanto meno farti ridere. Ma in generale mi piace far riflettere e/o colpire le persone alla pancia e al cuore con le parole, perché solo così puoi smuovere le coscienze e le anime.
“Vino” è il titolo del tuo ultimo singolo, dalle sonorità estive e leggere. Come nasce e cosa hai voluto raccontare?
Vino nasce come Sequel di “Camionetta” sempre con Bresh e Zero del 2019. Ci piacciono quelle sonorità, durante il primo lockdown Zero fece questo beat e ci scrissi quella strofa e quel ritornello, capimmo che forse poteva avere del potenziale e il primo a cui abbiamo pensato per quelle vibes era Bresh. Bresh mi sa proprio di marinaio e quel pezzo è un “Genova Vista Mare” quindi chi meglio di lui?
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Lavoro, scrivo e produco costantemente. Però come nelle prime relazioni amorose, voglio andare cauto, continuiamo a far uscire della roba e vediamo dove ci porta. Sicuramente posso dirti che quando scrivo è sempre in ottica di fare un disco. Per il resto top secret.
C’è qualcosa che vorresti dire ai nostri lettori?
Seguite le vostre inclinazioni, anche quando vi sembrano strane perché se l’istinto vi dice qualcosa, ha i suoi validi motivi, non abbiate paura di sbagliare, capita nella vita. Non siate testardi, però.
Guesan for Siloud
Instagram: @wild_guesan Credits: Ivonne Ucci, Valentina Aiuto