InTheMusic: Landart, interview

Dietro i Landart ci sono due sorelle, marito e moglie e un batterista che non lo sapeva. Fanno base a Vicenza, in Veneto. Hanno da poco rilasciato un nuovo album “Loud Desire”, registrato tra il 2017 ed il 2018 ed uscito nel 2021 per Dischi Soviet Studio. Il Loud Desire del titolo è il desiderio di musica, di conservare una riserva di libertà tutta per sé.

Band: Landart
Componenti: Daniela Dal Zotto, Eleonora Dal Zotto, Giorgio Manzato, Davide Bregolato
Età: 42, 50, 56,
Città: Vicenza, Padova
Nazionalità: Italiana
Brani pubblicati: Museum of dreams, The storm inside
Album pubblicati: Loud Desire
Periodo di attività: dal 2015
Genere musicale: Rock, Folk
Piattaforme: Spotify

Chi si nasconde dietro i Landart?

In questa band ci sono due sorelle, marito e moglie e un batterista che non lo sapeva. Facciamo base a Vicenza, in Veneto.

Come vi siete conosciuti e come è nata poi questa band?

Dopo l’esperienza con i Sarah Schuster, Daniela ed Eleonora hanno continuato a suonare insieme. Giorgio si è aggiunto al basso e dopo un bel po’ di ricerca del batterista giusto, finalmente hanno incontrato Davide.

Qual è il significato del vostro nome d’arte e qual è il suo significato?

Come quasi tutte le band, abbiamo scelto il nome in preda al panico dettato dalla necessità di scrivere qualcosa sulla locandina del primo concerto. Ne abbiamo scartato qualcuno, che poi ha ispirato anche dei testi di canzoni, come Miniverse, e abbiamo scelto LANDART, ma scritto tutto unito, come se fosse un cognome. Ci piace come suona.

Avete delle influenze musicali particolari, sia come generi che come artisti?

In questo periodo Daniela sta ascoltando poca musica recente (Aldous Harding, Beirut, “Seis” di Mon la Ferte), mentre si consumano i classici dei cantautori folk e del rock. Non è dato di capire se e in che modo questo influenzi la musica dei LANDART, ma i pezzi li scrive soprattutto lei, quindi una logica ci sarà.

Siamo “onnivori”, come si dice in questi casi, e ci piace ascoltare chi paga il proprio tributo alla forma “canzone” in mille modi e generi diversi. Davide è un’enciclopedia ambulante del pop, sa riprodurre centinaia di brani completi di arrangiamenti a memoria, a cappella o con quasi qualsiasi strumento gli capiti a portata di mano.

Il vostro è un percorso musicale molto vario e lungo. Quali sono stati gli step più importanti che vi hanno portato a quello che siete oggi?

Tutti noi suoniamo iniziato a suonare da bambine e da bambini. Qualcuno ha studiato un po’ e ascoltato tanto, qualcuno è autodidatta, qualcuno polistrumentista, qualcuna le ha insegnato la sorella maggiore. Siamo passati per il power-pop, il punk, il post-rock, il jazz sperimentale, persino per il rock steady.    

Avete appena esordito con un album. Diteci qualcosa in più su questo progetto!

“Loud desire” è stato registrato tra il 2017 ed il 2018 al Bunker Studio di Rubiera da Andrea Rovacchi dei Julie’s Haircut, che aveva registrato anche l’ultimo disco dei Sarah Schuster. Poi inaspettatamente lo abbiamo parcheggiato per un po’, abbiamo fatto un giro un po’ più lungo del previsto e alla fine è uscito nel 2021 per Dischi Soviet Studio. Con nostra grande soddisfazione, perché siamo molto affezionati a questi nove brani.

Qual è il filo conduttore tra le varie tracce e cosa avete voluto comunicare con questo progetto?

Il “Loud Desire” del titolo è il desiderio di musica, di conservare una riserva di libertà tutta per sé. Quella che in “Museum of dreams” descriviamo come un museo dei sogni, un luogo dove ci si prende cura di quella parte di sé che per la maggior parte del tempo se ne sta silente, perché fuori pare che la poesia sia proibita. Le nove canzoni del disco sono fantasie nelle quali ci concediamo di guardare alle cose con uno sguardo diverso da quello che le nostre rispettive personalità ci propongono di solito.   

Quali sono i vostri progetti futuri?

Stiamo scrivendo delle canzoni nuove, sicuramente ci piacerebbe registrarle. Il fatto è che siamo sempre molto legati all’idea di album, quindi prima di entrare in studio per registrare abbiamo sempre avuto bisogno di sviluppare tutta l’idea del disco. Magari invece registrare i brani singolarmente, man mano che li scriviamo, potrebbe essere una novità divertente e anche un po’ liberatoria. Chissà!

C’è qualcosa che vorreste dire ai nostri lettori?

Grazie.

Landart for Siloud

Instagram: @LANDART_band
Facebook: @landartband

Credits: Dischi Soviet Studio

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