Marco Sirtori è un docente universitario di 55 anni che insegna Letteratura italiana e sul piano della ricerca scientifica si occupa del rapporto tra parola e musica e del romanzo storico italiano. È di recente tornato con “Nautilus”, un disco ambizioso con 11 tracce che unisce la musica sinfonica al jazz e al pop.
Nome: Marco
Cognome: Sirtori
In arte: Marco Sirtori
Età: 55
Città: Milano
Nazionalità: Italiana
Brani pubblicati: Personal Jesus, The Same Love That Made Me Laugh
Album pubblicati: Vanity (2019), Nautilus (2021)
Periodo di attività: dal 1990
Genere musicale: Pop, Jazz
Piattaforme: YouTube, Spotify, Apple Music, Deezer, Amazon Music, ecc.

Ciao Marco, è per noi un piacere conoscerti! Cosa puoi dirci su di te?
Sono un docente universitario di 55 anni che insegna Letteratura italiana e sul piano della ricerca scientifica si occupa del rapporto tra parola e musica e del romanzo storico italiano (è in uscita un volume). Come musicista mi sono formato nella mia città, Milano, dove ancora abito e lavoro soprattutto come arrangiatore e cantante.
Letterato e musicista: cosa ti senti davvero e come ti sei avvicinato a questi mondi?
L’amore per la musica è nato da bambino. È stato come una folgorazione: ricordo di aver visto per la prima volta un pianoforte in casa di amici e di aver subito sentito come un formicolio nelle dita e il desiderio di affondarle tra i tasti e godere del suono che ne sarebbe venuto. Poi c’è stato un altro incontro fatale: mi è stato regalato per puro caso un disco con brani di Chopin e mi sono detto: “Devo assolutamente poter suonare questa meraviglia!”.
Per me far musica è stato sempre un fatto molto serio. Per questo ho intrapreso dapprima gli studi classici (pianoforte, armonia, contrappunto, orchestrazione), poi mi sono interessato alla musica jazz. Sui vent’anni ho formato con altri quattro amici un gruppo di pop-rock italiano. In seguito, ho lavorato in autonomia soprattutto come arrangiatore, ma fondamentali sono stati gli insegnamenti di Carlo Palmas e il lavoro sulla mia voce svolto con Marquica.
L’amore per la musica si intreccia da sempre per quello per la lettura: musica e letteratura ci permettono l’accesso a mondi paralleli, talora più veri di quello reale; per questo ho voluto intitolare il mio nuovo album Nautilus, nome del sommergibile del capitan Nemo, dal romanzo di Jules Verne.
Quanto la letteratura influenza la musica?
La letteratura come la musica è parte essenziale della mia esistenza quotidiana. Molto spesso alcune idee per i miei arrangiamenti mi vengono proprio dalle mie letture o dai miei studi sul rapporto tra parola e musica.
Anche la poesia e la musica madrigalistiche, su cui ho lavorato per l’ultimo corso universitario, possono suggerire soluzioni creative e molto attuali, benché siano generi che possono apparire troppo distanti nel tempo. E poiché la letteratura è anche evocazione di universi alternativi, alimenta la mia creatività e la mia tendenza a creare anche in musica dei mondi possibili.
Nel mondo musicale, da chi ti lasci ispirare?
Sono un ascoltatore compulsivo e onnivoro. Molto importante è stata per me la formazione classica, ma anche l’incontro con il jazz, il pop e l’elettronica. Non ci sono artisti a cui mi ispiro, ma ve ne sono che ascolto molto spesso e che sono per me dei punti di riferimento. Tra questi soprattutto Gregory Poter, Melody Gardot e José James che ho visto più volte in concerto (due anni fa al Jazz Festival di Nizza e un mesetto fa all’Alcatraz di Milano). Certo, sono artisti mondiali e che hanno a disposizione mezzi enormi, ma il loro mood mi piace molto. Ovviamente la musica che faccio io è molto diversa dalla loro; non è sempre necessario imitare chi si ama.
Sei tornato con “Nautilus”, un disco ambizioso con 11 tracce: com’è nato il progetto?
I contenuti dell’album sono stati scelti pezzo per pezzo in seguito ad alcune sperimentazioni a livello di arrangiamento. Molti sono stati scartati, altri rifatti più volte prima di arrivare al risultato finale. Di grande aiuto sono stati gli amici musicisti ai quali ho sottoposto i brani, in particolare Carlo Palmas e Maquica, che mi hanno spesso suggerito cambiamenti talora anche radicali. Ma anche il parere di ascoltatori non professionisti è stato utilissimo: la musica deve arrivare per quello che è, non per le intenzioni intellettualistiche del compositore.
In genere, i brani scelti avevano già alla partenza delle potenzialità, ovvero apparivano adatti a conformarsi al mio stile musicale, che unisce la musica sinfonica al jazz e al pop.
Qual è lo stile che seguono i pezzi e come sono collegati tra loro?
Il mio stile è frutto delle infinite sollecitazioni musicali che ho conosciuto nella mia vita, dall’infanzia a oggi. A prevalere, alla fine, sono la musica orchestrale e il jazz. Ma in questo disco non mancano anche sperimentazioni più ardite e ibridazioni forti (per esempio, in “Unchain My Heart” ho persino usato degli archi orientali).
Le undici cover raccolte in questo album tracciano un percorso molto ampio, dagli anni Trenta agli albori del nuovo millennio, così da disegnare nella sua interezza (anche se per frammenti) l’intero mio mondo musicale.
Tra tutte le tracce, ne hai una che preferisci?
Ho lavorato su tutte con grande fervore e non rinuncerei a nessuna. Certo, i brani sono molto diversi uno dall’altro, ma ognuno di loro ha qualcosa da proporre e da raccontare. In questo momento tengo molto a “The Same Love That Made Me Laugh”, il singolo uscito il 10 dicembre insieme all’album, che ripropone in una versione jazz-pop-swing un capolavoro del grande Bill Withers recentemente scomparso, e anche “The Power of Love dei Frankie goes to Hollywood”, a mio avviso la love song più intensa e disperata di sempre.
Hai in programma dei live in cui possiamo vederti dal vivo?
Stiamo organizzando in effetti un concerto di presentazione dell’album per febbraio-marzo. Come potete immaginare, tutto è ancora incerto a causa dell’emergenza sanitaria. Ma il concerto si farà, al limite spostandolo più in là nel tempo. Più che un concerto vorrei che fosse un evento culturale, che alternasse ai miei brani musicali anche riflessioni e la lettura di brani da romanzi d’avventura, visto che l’album si ispira al romanzo i Jules Verne, “Ventimila leghe sotto i mari”.
Cosa progetti per il futuro?
Sto già lavorando a un terzo album di sola musica italiana. Si tratterà di un mini-album contenente non più di 5-6 brani appartenenti ai mitici anni Sessanta, un’epoca di massimo splendore per la storia della canzone italiana. Poi dal prossimo autunno lavorerò su un album di inediti.
C’è qualcosa che vorresti dire ai nostri lettori?
Ascoltate musica il più possibile, ma con attenzione e intelligenza. Ormai siamo abituati a un ascolto solamente passivo e ricreativo e, per di più, in Italia non esiste una educazione musicale adeguata, che andrebbe coltivata fin dall’infanzia. Molti italiani ascoltano continuamente musica in modo passivo e non la capiscono in realtà perché non hanno esercitato la sensibilità musicale che tutti possediamo (mi stupisco a lezione di come molti studenti non riescano nemmeno a percepire la differenza tra una voce di soprano e una di tenore).
Saper ascoltare e apprezzare la musica è un’arte che si consegue ascoltando e riascoltando il più possibile quanto di meglio è stato prodotto nel corso dei secoli e che si produce oggi.
Marco Sirtori for Siloud
Instagram: @nautilus_2022
YouTube: Marco Sirtori
Credits: Marta Scaccabarozzi