Federica Sartori, in arte fefe, divide le sue giornate tra scuola e lo studio di registrazione. Scrive quello che viene come viene e questo rende la sua comunicazione molto limpida e anche un incrocio tra personale e intima. “Che schifezza che è l’amore” è il titolo del suo nuovo singolo, dal sapore agrodolce.
Nome Federica
Cognome: Sartori
In arte: fefe
Età: 21
Città: Caldaro (BZ)
Nazionalità: Italiana
Brani pubblicati: If the music goes, A Roma Termini, Che schifezza che è l’amore
Periodo di attività: dal 2018
Genere musicale: Pop, Elettronica
Piattaforme: YouTube, Spotify, Apple Music, Deezer, Amazon Music, ecc.

Chi è fefe nella vita di tutti i giorni?
Ho 21 anni, sono di Caldaro, ma ho vissuto anche in Liguria (precisamente a Bordighera) e nel Veneto (a Vicenza). Mi sono trasferita a Roma a settembre del 2020 e da quando sono qui frequento il Saint Louis college of music, un’accademia di musica. Le mie giornate quindi si svolgono tra scuola e lo studio di registrazione T-Recs, ormai seconda casa romana, in cui vado a fare tutti i miei lavori, a scrivere, a produrre.
Come mai hai deciso di utilizzare “fefe” come nome d’arte?
Molti mi chiamavano fefè, con l’accento sull’ultima “e”, a me non piaceva moltissimo e così ho provato a spostare l’accento. Mi piaceva, era corto, mi sembrava semplice ed efficace. In più ho pensato che fosse facile da pronunciare anche all’estero, che fosse d’impatto visivamente e che mi si addicesse.
Sei cresciuta tra bellissimi paesaggi e il tennis e la musica hanno fatto sempre da protagonisti nella tua vita. In che modo hai portato avanti queste tue due passioni?
Il tennis non è una mia vera e propria passione, in pratica lo è diventata a furia di viverci dentro. La musica invece mi è sempre piaciuta. Da piccola ho fatto pattinaggio sul ghiaccio, danza, teatro e in casa tenevo spettacoli come se davvero ci fosse del pubblico a guardare. Non mi ero dedicata alla musica, però, finché non ho preso le prime lezioni di canto in terza media. Da lì in poi, quando ho capito che avrei voluto dedicarmi solo a questo, ho cominciato a studiare anche pianoforte, a fare concorsi, poi a scrivere, per poi arrivare a conoscere l’ambiente musicale romano e a studiare qui, nella Capitale.
Quali sono i generi musicali che ascolti di solito e in che modo ti influenzano?
Ascolto molte cose diverse, spesso a prescindere dal loro genere o dall’artista. Ho notato che do molta importanza alla canzone nello specifico, se questa è bella molto probabilmente la ascolterò in rotazione per giorni, la metterò nella mia playlist e così la mia playlist diventa un insieme molto eterogeneo di cose che mi influenzano a furia di ascoltarle.
Come definiresti il tuo modo di fare musica e cosa cerchi di raccontare con i tuoi brani?
Io non credo di avere un obiettivo specifico, definirei il mio modo di scrivere forse molto naturale. Scrivo quello che viene come viene e questo rende la comunicazione molto limpida e anche un incrocio tra personale e intima. Questo aspetto mi piace ed è quello che di solito mi fa rimanere ad ascoltare una canzone, quando mi risulta autentica.
“Che schifezza che è l’amore” è il titolo del tuo nuovo singolo, dal sapore agrodolce. Come nasce?
Nasce a casa, in camera, al pianoforte, come quasi tutto quello che scrivo. Mi sentivo così, come descrivo nel brano. Mi piace come ci abbiamo lavorato secondariamente, l’elettronica che c’è nel brano, e l’intimità che non è stata tolta al testo.
Testo e sound: come hai lavorato su queste tematiche?
Il testo è quasi rimasto uguale al momento in cui l’ho scritta, abbiamo aggiustato delle piccolezze. Il sound è stato ricercato in corso, lavorando abbiamo trovato questa ritmica sull’inciso che ci ha convinti sin da subito. In studio c’è stato un lavoro organico molto bello a cui hanno preso parte Tony Pujia, Stefano Cenci, Matteo Costanzo, Marco Mattiuzzo.
Hai scritto questo brano in un periodo molto particolare. In che modo ti ha aiutato ad andare avanti?
Non so se mi ha aiutata ad andare avanti, lì per lì ero soddisfatta e contenta di una canzone che avevo scritto, ma era comunque quello il modo in cui mi sentivo. Forse dire ad alta voce queste emozioni dava un nome o delle parole a qualcosa che stavo provando e di conseguenza può avermi aiutato ad ammettere cosa avevo in testa.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Spero di suonare dal vivo, esibirmi, cantare il più possibile. In più lavorare ai nuovi brani e aggiungere quelle mattonelle necessarie in questo percorso.
C’è qualcosa che vorresti dire ai nostri lettori?
Grazie per avermi letta e spero di vederci davanti a un bel pianoforte o ad un grande concerto.
Fefe for Siloud
Instagram: @fefe.of
Credits: CGP Press