La musica di Federico Mecozzi rispecchi la vita, il gusto e le esperienze di Federico, in modo semplice e il più spontaneo possibile: da qui la scelta di mantenere il suo vero nome anche nella sua carriera artistica. “The end of the day” è il suo nuovo brano, nato in una sera estiva, alla fine del giorno, appunto.
Nome: Federico
Cognome: Mecozzi
In arte: Federico Mecozzi
Età: 30
Città: Rimini
Nazionalità: Italiana
Brani pubblicati: Low Mist , Fox Tracks, Low Mist Var.1, Gravity, Cold Wind Var.1
Album pubblicati: Awakening
Periodo di attività: dal 2009
Genere musicale: Strumentale
Piattaforme: Spotify, Tim Music, Amazon Music, Apple Music

Chi è Federico Mecozzi nella vita di tutti i giorni?
È abbastanza difficile auto-descriversi. Mi verrebbe da dire che Federico è un ragazzo trentenne di Rimini (ma molti mi danno meno della mia età, meglio così), che ha la fortuna di viaggiare tanto e che convive – con Giulia – da qualche anno, e da qualche mese si è pure sposato. Però, come poi accade con tutti i musicisti, credo, è impossibile descrivere la propria quotidianità senza considerare quella dimensione, anzi quell’ossessione che è la musica.
Direi che tendenzialmente la musica è presente ogni giorno per la maggior parte della mia giornata, per lavoro prima di tutto, ma anche nei momenti non lavorativi è davvero difficile liberarsi dall’attenzione per i suoni, dalle idee e dai progetti artistici. Una condanna, diciamo, che è però la più bella condanna che si possa desiderare.
Per il tuo progetto artistico hai deciso di mantenere il tuo vero nome. Come mai questa scelta?
Non ho mai pensato di trovare un nome d’arte. Non sento il bisogno di presentarmi in un’altra veste, penso che la musica di Federico Mecozzi rispecchi la vita, il gusto e le esperienze di Federico Mecozzi, in modo semplice e il più spontaneo possibile.
Quello nella musica è un percorso che porti avanti da quando avevi solo sei anni. Cosa ti appassiona, da sempre, di questo mondo?
Quello che ti dà la musica è indescrivibile, è prima di tutto piacere allo stato puro, un piacere che è sia fisico che spirituale allo stesso tempo. Da bambino mi ha stregato Fabrizio De Andrè con la sua mescolanza perfetta di musica e poesia (questa è stata, a cinque anni, la mia spinta ad imparare a suonare la chitarra). Di lì in poi tutto l’universo musicale a 360 gradi è stato ed è tuttora una scoperta infinita.
Più la musica è diretta, immediata, magari anche ricercata ma capace di penetrare senza filtri dentro le persone e scuoterle, più mi piace; ed è quello che cerco anch’io di perseguire tutte le volte che compongo e lavoro alla mia musica. È impagabile, poi, la possibilità di diffondere la propria musica, la consapevolezza che questa possa generare piacere ad altre persone; e in questo senso, direi che la dimensione più potente di tutte, alla quale mai potrei rinunciare, è proprio quella del concerto, momento di condivisione emotiva totale tra artista e pubblico
Quali sono i generi musicali e gli artisti che ti accompagnano tutti i giorni?
Sono contrario alle eccessive etichette di generi e a certi snobismi da musicisti colti. Ho sempre ascoltato e amato di tutto, dalla musica classica (che è ovviamente, per un violinista, la base), barocca in particolare (Vivaldi su tutti) fino al pop in cui trovo ancora episodi di grande intensità; passando per i cantautori italiani, in particolare Franco Battiato (che per me è da sempre un faro) e Fabrizio De Andrè; adoro la cosiddetta world music, in particolare la musica celtica e nord-europea in generale, ma anche la tradizione mediterranea e araba… Mi piace molto anche la contaminazione elettronica, un mondo che offre sempre nuove possibilità.
Sono molti i momenti più importanti della tua carriera. Ti andrebbe di parlarcene?
Sicuramente decisivo è stato per me l’incontro, 14 anni fa, con Ludovico Einaudi, col quale prosegue tuttora una stretta e bellissima collaborazione, oltre che amicizia, che mi offre l’opportunità di viaggiare in continuazione per concerti e costanti stimoli artistici nel lavorare con un uomo e artista di tale spessore. L’inizio di questa esperienza mi ha effettivamente cambiato la vita ed è complicato individuare pochi momenti importanti tra gli innumerevoli concerti indimenticabili vissuti con Ludovico. Forse particolarmente memorabile è stato per me il primo concerto alla Royal Albert Hall di Londra, essendo allora neanche diciottenne.
Un altro passo davvero significativo è stato senza dubbio, nel 2019, l’uscita del mio primo album da solista e compositore. Con esso, ricorderò sempre l’emozione del primo concerto di presentazione al Teatro Galli di Rimini: è stato un po’ come mostrare un proprio figlio per la prima volta al mondo, indelebile.
Un’altra grande esperienza, infine, è stata quella sanremese, con direttore d’orchestra per Enrico Nigiotti. Una dimensione sicuramente nuova per me, stimolante e divertente, quella televisiva. Anche se non potrei mai fare cambio con l’intensità del live, dell’interazione “energetica” col pubblico durante un concerto.
“The end of the day” è il tuo nuovo brano. Come nasce?
Questo brano è nato in una sera estiva, alla fine del giorno, appunto. Ero solo in una camera d’albergo in qualche città in Europa, purtroppo non ricordo quale perché successivamente ho perso la memo vocale e quindi il momento e il luogo esatto! Stavo pizzicando il mio violino come una chitarrina, come spesso mi piace fare, canticchiando. Così è uscita fuori la melodia di “The end of the day” che ho trovato molto collegata e condizionata proprio dal momento del giorno in cui è sorta, ovvero il momento in cui sparisce la luce e tutto diventa più interiore, più scuro ma anche più onirico, più malinconico e poetico.
Come hai lavorato alla produzione di questo brano e in che modo anticipa il tuo secondo album, “Inwards”?
Come avviene con tutti i miei brani, l’ho in seguito lavorato in studio di registrazione con Cristian Bonato, diciamo la mia spalla artistica, produttore nonché mio insostituibile fonico dal vivo. È un viaggio potenzialmente infinito, quello della produzione di un brano, dove ad un certo punto occorre imporsi di fermarsi e “accontentarsi”. In ultimo ho coinvolto anche alcuni dei fedelissimi musicisti che mi accompagnano anche dal vivo, che hanno apportato al brano il loro contributo e il loro gusto.
Considero “The end of the day” una sorta di preludio all’album – di qui la scelta che lo anticipasse – proprio perché il singolo descrive in un certo senso il momento in cui pian piano si chiudono gli occhi. L’album, “Inwards”, si può considerare il viaggio interiore, notturno, introspettivo che da lì ha inizio. “Verso l’interno”, appunto.
A breve partirà il tuo tour, che ti vedrà in giro per i teatri italiani. Cosa puoi anticiparci?
Non vedo l’ora, come per ogni nuova avventura. Nei prossimi giorni inizierò, insieme alla mia band, a costruire il nuovo concerto che vedrà protagonisti i nuovi brani contenuti in “Inwards” (ma che come sempre dal vivo assumeranno nuove vesti e saranno in continua evoluzione) uniti a diversi brani del primo album “Awakening”, passando infine attraverso alcuni omaggi, chiamiamoli rivisitazioni di brani ed artisti che sono stati per me particolarmente significativi; uno fra tutti è “La cura” di Battiato.
Nel live emerge, credo, il mio amore per la contaminazione, per l’incrocio di sonorità e timbri diversi: violino, viola e violoncelli insieme a sequencer elettronici, pianoforti, percussioni, chitarre e fisarmoniche con ritmiche elettroniche.
Più in generale, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
In questo momento mi sto appunto concentrando molto sull’uscita dell’album e la preparazione del nuovo concerto, che ad ottobre porterò a Salsomaggiore, Milano, Rimini, Bologna con altre nuove date in via di definizione. Contemporaneamente prosegue il tour “Underwater” di Ludovico Einaudi che ci porterà a breve a Londra, Parigi, poi Olanda e infine a dicembre a Milano per una lunga serie di concerti al Teatro Dal Verme.
C’è qualcosa che vorresti dire ai nostri lettori?
Vorrei consigliare, ovviamente, di ascoltare “Inwards”. Certo, c’è un desiderio personale di diffondere la propria musica ma c’è in realtà un suggerimento più ampio, ovvero quello di ascoltare tanta musica e sempre diversa, di andare oltre ai propri gusti e limiti apparenti, scoprire che esistono davvero infiniti universi musicali che possono offrire emozioni dirette a tutti.
Federico Mecozzi for Siloud
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