La Virgilio, classe 83′, è ormai nota al pubblico italiano del piccolo e del grande schermo. Amante del cinema fin da piccola, dedica i suoi studi alla recitazione e nel 2006 debutta al cinema in Il bosco fuori diretto da Gabriele Albanesi. Da lì in poi per Daniela è un susseguirsi di film, serie tv, videoclip e teatro. Nota particolarmente per il suo ruolo in Romanzo Criminale – La serie sarà nuovamente in televisione con Rosy Abate 2.
Nel frattempo però, nell’ambito di Estate a Pordenone, presso il PAFF!, in Viale Dante 33, il gruppo internazionale di ricerca EuAct, l’attrice avrà il delicato ruolo di interpretare il monologo della drammaturga britannica Sarah Kane.
Psicosi delle 4.48, questo il titolo dell’opera, rappresenta il momento in cui una donna, avvertendo il disagio che ognuno di noi prova nella sua sopravvivenza umana, decide di liberarsi nell’unico modo possibile: il suicidio.
Per quanto forte, il monologo, è un momento fatto di gesti, parole e silenzi che può guidare lo spettatore in un’analisi più profonda proiettata alla vera conoscenza e all’accettazione di ciò che si è.
In occasione dell’attesissima performance del 31 luglio di Daniela Virgilio, diretta da Alessia Pellegrino, con l’ideazione e il coaching di Paolo A, l’attrice ha deciso di dedicarci qualche minuto rispondendo ad alcune domande.
Ciao Daniela, da anni ormai ti vediamo sugli schermi della tv e del cinema. Quando e perché hai deciso di diventare un’attrice?
Inizialmente è stato istinto, poi curiosità. Divertimento.
Con il tempo ho capito che è un metodo che utilizzo per scoprire, in continuazione, delle sfumature di me, del mio carattere, che difficilmente avrei modo di scoprire in una vita che molto spesso è mediata.
Nei rapporti con gli altri o in quelli lavorativi siamo sempre mediati, non possiamo sempre essere diretti (per fortuna – ride -) e quindi provare dei colori forti come quelli della vedetta, della rabbia, della vergogna oppure dell’affronto, sperimentandoli, divento un canale. Utilizzando il mio corpo come un canale e così anche la mia voce e la mia anima, attraverso alcuni personaggi che mi è capitato di affrontare nella mia carriera come Lady Macbeth, Giovanna d’Arco e tutti i vari personaggi del teatro più classico, ho scoperto di possedere qualità non necessariamente positive ma neanche negative che, nella vita quotidiana, non avrei avuto l’opportunità di scoprire.
È una ricerca personale e costante, anche a livello antropologico sulle proprie capacità, emozioni e sulla propria vita e, con la mediazione, posso arrivare agli altri, stimolare qualcosa, che sia una risata o un pianto, una conoscenza. La trovo una cosa edificante, un atto non soltanto ludico ma anche molto importante, interessante e costruttivo: un valore.
Io vivo l’arte come un valore. Un lavoro edificante.
È impossibile evitare di notare la tua crescita sia personale che professionale. Qual è l’esperienza che ti ha segnato di più?
Un’esperienza come quella di Romanzo Criminale crea un precedente, crea un’attenzione e crea un’aspettativa. Sono 10 anni che mi devo difendere dal tipo di idea che il pubblico e i registi si sono fatti di me, per difendere la responsabilità di aver avuto un esordio così importante.
Quindi la prima cosa che ho fatto e continuerò a fare è studiare, studiare sempre, mai sentirsi arrivati. Io contino a fare stage e workshop e grazie a questo lavoro ho conosciuto Paolo Antonio Simioni che è il mio coach, il mio insegnante, e che mi ha fatto fare esperienze anche al di fuori di quelle lavorative. Mentre in tv lavoravo con Un passo dal cielo, I soliti idioti piuttosto che Elio Germano, lui mi faceva fare lavori su personaggi come Ulrike Meinhof, attivista degli anni ’70, o come Giovanna d’Arco, o come questo monologo di Sarah Kane.
Mi ha fatto lavorare su argomenti che in tv raramente vengono affrontati, rendendo più solide la mia consapevolezza e la mia tecnica. La vera scoperta è stata quanto si possa sempre imparare a migliorare in un mestiere che, solo apparentemente è fatto d’istinto e di talento, ma è fatto di tanta dedizione, studio, pratica, curiosità. È la parte più artigianale del lavoro, quella che io adoro.
Il monologo è sicuramente la scena più difficile che un attore possa trovarsi ad affrontare. Cosa ne pensi di questo nuovo progetto firmato Sarah Kane?
Il monologo è la parte più dura del lavoro e tra l’altro io non ne ho mai fatto uno.
È la prima volta che provo me stessa con un monologo: sarò in scena da sola, per 50 minuti, e la mia compagna di scena sarà una sedia. È elettrizzante ma tosto.
D’altra parte a 35 anni devo decidermi a provare una cosa del genere, mostrando agli altri che so fare più di quanto si possano aspettare.
Diciamo che per il physique du rôle che ho sono abituata a essere scelta per interpretare
personaggi di una certa eleganza o nobiltà o l’opposto, magari qualcuno di un po’ cattivo, il terzo in comodo nelle storie di cuore, l’amante. Questo è il mio physique du rôle.
L’idea di provarmi su un monologo che abbia come tematiche quelle della depressione e del suicidio era effettivamente allettante.
L’idea di tornare a teatro dopo 8 anni e farlo con uno spettacolo in cui sono sola, mi spaventa, ma è allettante. Sono spaventata ma sono molto molto molto felice.
Ora vado a provarmi a Pordenone, all’interno di questa rassegna teatrale, fuori dalla mia città, mi stiro le gambe e tornerò a Roma sperando di portare qualcosa che possa essere ben accolto e interessante per chi vorrà vedermi in quelle vesti.
Nella recitazione è importante un buon team. Com’è stato lavorare al fianco della direttrice Alessia Pellegrino e del coach Paolo Antonio Simioni?
L’incontro con Paolo Antonio Simioni e con Alessia Pellegrino è stato un vero colpo di fulmine.
Ho avuto la fortuna di aver incontrato molti insegnanti nella mia carriera, tutti molto validi, ai quali sarò sempre legata. Ma poi c’è qualcuno che in qualche modo funziona su di te un po’ meglio delle altre persone, ed effettivamente il lavoro di Paolo Antonio funziona incredibilmente. Nonostante le mie resistenze e i miei pregiudizi come attrice, le mie rigidità, riesce sempre a scardinarle e farmi andare oltre. Oltre verso una zona che non so di avere, che non so di poter gestire. La cosa buona è che il lavoro mi porta in un zona in cui scopro emozioni che non so neanche di avere.
Per Paolo Antonio è una questione di vita o di morte: arte come necessità dell’uomo di elevare se stesso a livello artistico e culturale. È una visione del mondo, un atteggiamento quotidiano verso gli altri e l’altro.
Per me è diventata una scuola di vita.
Il lavoro con loro due è impagabile e continuerà nel tempo. È iniziato con questo monologo e spero si porterà avanti, stupendovi sempre.
C’è qualcosa che vorresti dire ai nostri lettori?
A voi lettori voglio dire che questo monologo che andrà a Pordenone, in autunno lo porterò a Roma. Oltre a guardarmi in televisione nella nuova serie di Rosy Abate 2, mi fa piacere avere un pubblico di affezionati a teatro.
Daniela Virgilio for Siloud
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