InTheMusic: Tommaso Di Giulio, interview

Tommaso Di Giulio è una persona che, per ora, ha 34 anni e che canta, suona e scrive: musica e canzoni, programmi televisivi, documentari e storie; l’importante è scrivere, poi il vestito giusto lo si trova a seconda dell’occasione. Spesso il rapportarsi ad un brano è un processo elaborato per gli artisti, si può quasi parlare di un’interconnessione cinematografica che, nel suo caso, si lega all’essere anche uno sceneggiatore.
Nella sua vita artistica, oltre alla sceneggiatura, al lavoro di autore tv e al percorso di cantautore e compositore di colonne sonore, c’è anche un altro progetto musicale: i Caltiki.

Nome: Tommaso
Cognome: Di Giulio
In arte: Tommaso Di Giulio
Età: 34
Città: Roma
Nazionalità: Italiana
Brani: A chi la sa più lunga, Spesso e volentieri, Le mie scuse più sincere, Le notti difficili, Musica da Camera, Le Canzoni allegre, Marta
Album pubblicati: Per Fortuna Dormo Poco, L’Ora Solare, Lingue, Amazzoni
Periodo di attività: dal 2012
Genere musicale: Pop, Rock, Cantautorato, Colonne sonore
Piattaforme: YouTube, Spotify, Apple Music, Amazon Music, Deezer, CD e Vinile

Chi è Tommaso Di Giulio?

Una persona che, per ora, ha 34 anni e che canta, suona e scrive: musica e canzoni, programmi televisivi, documentari e storie. L’importante è scrivere, poi il vestito giusto lo si trova a seconda dell’occasione.

Spazi continuamente dalla musica alla sceneggiatura: come ti sei avvicinato a queste due pratiche artistiche?

Ho iniziato a studiare il pianoforte da piccolissimo, smettendo subito. Da pre-adolescente ho poi visto che suonare la chitarra era utile per trovare l’amore, quindi ho pensato bene di scegliere il basso elettrico, tipico strumento da falò. Però vuoi mettere imparare i riff dei Rage Against The Machine piuttosto che pomiciare a 14 anni grazie a quattro accordi scordati di chitarra classica per fare colpo? Beh, oddio, ora che ci penso…

Ho poi studiato seriamente musica per una decina d’anni, sperimentando con vari strumenti, con il canto e con le varie modalità d’arrangiamento. La scrittura dei testi mi ha sempre affascinato e trascinato in un’infinita spirale di ricerca, spesso ossessiva. Le parole hanno un potere tanto forte quanto mutevole e cambiano pelle a seconda del contesto in cui sono inserite o in base a i suoi che scegli di utilizzare per accompagnarle. Ho sempre coltivato anche la scrittura tout court, ben prima di dedicarmi alla musica, senza pensare mai di pubblicare nulla. Forse i tempi sono maturi. Vedremo. Comunque, a 19 anni, appena iscritto all’università e mentre militavo in almeno in 5 band in qualità di bassista, cantante o entrambe le cose, andai a fare la spesa in Ipermercato fuori mano, ma particolarmente economico. Vidi un annuncio sulla parete di un grosso edificio li vicino. Cercavano un profilo simile al mio per un programma televisivo per ragazzi, avevo bisogno di un lavoro e decisi impulsivamente di entrare. Serviva un ragazzo di massimo 25 anni in grado di co-condurre, suonare, cantare e collaborare ai testi (aveva giustamente bisogno di un “campione” estratto dal bacino d’utenza a cui era diretto il programma, scritto prevalentemente da adulti). Mi fecero fare un colloquio, poi un provino e dopo una settimana mi presero nello show. L’esperienza, bellissima, durò 4 anni in cui ho imparato molto, specie sul modo in cui scrivere per i diversi media, dando il via a quel percorso che poi mi ha portato a lavorare a tantissimi progetti. Grazie a quella trasmissione ho anche avuto modo di conoscere Gazzè e suonare con lui per la prima volta.

Da lì in poi mi sono mosso quasi sempre tra scrittura per la tv e musica, cercando di far incontrare i due mondi ogni volta che ne ho avuta l’occasione.

Spesso il rapportarsi ad un brano è un processo elaborato per gli artisti, si può quasi parlare di un’interconnessione cinematografica che, nel tuo caso, si lega all’essere anche uno sceneggiatore. Come fai a gestire i diversi aspetti della fase creativa e che legame hanno per te?

Ho sempre affrontato la scrittura delle canzoni come se fossero micro sceneggiature (quando un critico scrisse del mio modo di intendere la musica definendolo “pop cinematografico” ne restai ovviamente deliziato) quindi ci deve essere sempre qualcosa che evoca un’immagine. Non parlo di trama, che tendenzialmente è qualcosa che non mi interessa nemmeno nei libri o nei film, ma  bensì di schegge visive che scaturiscono dal matrimonio tra musica e parole. Ciò che viene evocato può (deve) essere molto soggettivo, ma l’importante è che ci si senta trasportati altrove: per me conta l’atmosfera ed è da lì che parto sempre. Basta un brandello di testo che magari poi finirà relegato in coda ad un solo bridge, o il timbro di una chitarra fatto con l’effetto del tremolo che sfugge al tuo controllo, ma è da lì che parto sempre: da una singola scintilla.

Mi devo innamorare di un’idea, poi arriva il lavoro vero e proprio che, mi dispiace, ha ben poco di poetico. Si tratta di ore e ore di tentativi, deviazioni, ripensamenti, limature, parolacce urlate alla moka e voglia improvvisa di mollare tutto. Poi, se non si demorde, la quadra si trova quasi sempre e bisogna solo trovare il coraggio (e la capacità) di mettere un punto. Considerare “finito” qualcosa, disco o sceneggiatura che sia, è forse la parte più dura del gioco.

In questi anni, parallelamente ai tuoi tour, hai anche aperto concerti ad artisti di spessore (Franco Battiato, Cosmo, Zen Circus, Marlene Kuntz, Max Gazzè, Afterhours). C’è qualcosa che ti ha segnato particolarmente?

La cena con Franco Battiato prima dell’apertura del suo concerto (fu un alternarsi psichedelico di perle filosofiche e battute esilaranti) e la generosità e apertura di Max Gazzè e di Giorgio Baldi (il suo storico chitarrista e sodale), con cui ho ormai conquistato un rapporto di amicizia vero e proprio. Aggiungerei un Manuel Agnelli particolarmente sorridente e brillo di prosecco che, in un post-concerto siciliano, mi riempie il bicchiere complimentandosi per la mia t-shirt (era una maglietta di Daniel Johnston).

Quattro parole per definire la tua musica?

Narrativa, non omologata, irrequieta, post-classica.

Ogni tuo album si differenzia dal precedente per scelte distinte di sound, passando dal cantautorato al pop fino ad arrivare al rock sperimentale. I tuoi progetti futuri cosa ci riserveranno?

Ho sempre voglia di cambiare le carte in tavola. Sul fronte discografico sto lavorando ad un nuovo album a mio nome che sarà diametralmente diverso dal precedente e al seguito dell’avventura Caltiki, che risentirà in modo ancora più evidente della mia ossessione per i suoni degli anni ’60.

Non avere un seguito plebiscitario o nazional-popolare mi ha sicuramente penalizzato dal punto di vista delle risorse ma mi ha conferito anche una libertà impagabile. Nessuno si aspetta che io ripeta pedissequamente una determinata “formula del successo”.

Nella tua vita artistica, oltre alla sceneggiatura, al lavoro di autore tv e al tuo percorso di cantautore e compositore di colonne sonore c’è anche un altro progetto musicale: i Caltiki. Ti andrebbe di parlarcene?

I Caltiki sono una band che ho fondato per dare libero sfogo alla mia passione per i suoni e per l’estetica dei sixities e, sopratutto, per evitare di andare in palestra. Si tratta di un trio fondamentalmente rock n roll libero e selvaggio, i nostri live sono teatrali ed eccessivi, si balla e si suda molto (ecco come mi evito la palestra). Mi ha permesso di assottigliare un po’ il coacervo di generi e sonorità che affollavano la mia identità cantautorale, suonare più e spesso e in ogni tipo di contesto (dal piccolo club, al festival fino a eventi pubblici e privati di ogni tipo, anche molto bizzarri). Con i Caltiki mi lascio andare completamente, a volte mi sono messo anche nei guai: durante i nostri concerti interagiamo molto con il pubblico, si instaura un rapporto informa, diretto e a volte fin troppi sincero. Una volta presi in giro una signora molto maleducata che non aveva idea di come ci si comporta in un live club (chiacchierava strillando   tutto il tempo pur restando in prima fila) salvo poi scoprire che si trattava di una permalosissima poliziotta.

Il vostro album di esordio è stato “Amazzoni”, dieci canzoni per dieci nomi femminili. Da cosa è nata l’idea?

I Caltiki mi danno l’occasione di divertirmi e azzardare senza pensare troppo alle conseguenze: volevo dare vita ad un progetto totale, in cui confluiscono una forte identità visiva (i nostri alter ego in versione fumetto che affrontano ogni tipo di avventura rocambolesca), la voglia di sperimentare (e allora ho frullato garage, rock’n’roll, psichedelia, surf rock, blues e tutti quei generi su cui mi sono fermato e che, guarda caso, negli anni ’60 dialogavano costantemente).

La ragione delle dieci donne di Amazzoni corrisponde al contempo con un omaggio a Battisti (Dieci ragazze per me possono bastare…) e al centro concettuale dell’album: un viaggio misterioso e sfrenato nel rapporto tra i sessi. Si tratta di dieci piccole storie con protagoniste delle donne forti, indipendenti, pericolose e tridimensionali. Questo è anche un gioco, perchè i testi e il tipo di donne raccontate sono in netta controtendenza con i loro epigoni degli anni ’60, che però sono stati saccheggiati sul fronte prettamente musicale e interpretativo.

Un percorso artistico in cui il palcoscenico, l’esperienza dal vivo, è stata una continua scarica di adrenalina. La pandemia ti ha costretto a restare fermo: cosa rappresenta per te questa situazione?

Una schifezza. Per me suonare dal vivo è realmente vitale, a prescindere dal fattore economico. Lo scambio di energia con il pubblico è insostituibile. Non vedo l’ora che quest’incubo finisca e mi auguro che il mondo culturale post-Covid, una volta guarite le ferite, sappia anche porre rimedio a tante delle storture che lo caratterizzavano anche prima dell’esplosione del virus.

C’è qualcosa che vorresti dire ai nostri lettori?

Non vi abituate a stare a casa, cercate di essere più curiosi della media, comprate più dischi, meno sigarette e contraddite gli algoritmi. Ah, ascoltate “Amazzoni” che, povero, è uscito in pieno lockdown e ha bisogno di affetto!

Tommaso Di Giulio for Siloud

Instagram: https://www.instagram.com/tommasodigiuliomusic/
Facebook: https://www.facebook.com/tommasodigiuliomusic

Intervista di Mario Castaldo

One thought

  1. Ho avuto il piacere di apprezzare il nostro giovane amico musicista sia come solista sia con la sua band… Ha molto da dire e lo dice magnificamente…
    Cristina De Mattheis

    "Mi piace"

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