InTheMusic: La Monarchia, interview

Dietro La Monarchia ci sono cinque ragazzi, di età compresa tra i 26 e i 31 anni, che hanno avuto percorsi individuali diversi ma allo stesso tempo molto simili. Il denominatore comune è sempre stato quello di fare musica propria. “Ossa” è il titolo del loro ultimo singolo, che punta ambiziosamente a ridefinire il genere alt-pop italiano.

Band: La Monarchia
Componenti: Gianmatteo Nasca, Lorenzo Falorni, Giulio Barlucchi, Lapo Nencini, Matteo Frullano
Età: 28, 30, 32, 26, 31
Città: Poggibonsi
Nazionalità: Italiana
Brani pubblicati: Ossa, Amatoriale, Novembre, Insieme, Non esco più, Sei come me
Album pubblicati: Parliamo dieci lingue ma non sappiamo dirci addio
Periodo di attività: dal 2012
Genere musicale: Alt. Pop, Indie
Piattaforme: YouTube, Spotify, Apple Music, Deezer, Amazon Music, Tim Music

Chi c’è dietro La Monarchia?

Dietro La Monarchia ci sono: Giulio Barlucchi, voce del gruppo, trentaduenne, Filmmaker di professione; Matteo Frullano alla chitarra e al piano, trentunenne, di professione fonico; Gianmatteo Nasca, basso e cori, ventottenne, docente di canto moderno e cantautore; Lorenzo Falorni, chitarra e cori, trentenne di professione impiegato; Lapo Nencini, batterista della band, ventiseienne, assistente sociale. Ci dividiamo tra la provincia di Siena, di Firenze e Milano.

Prima di tutto, ci farebbe piacere conoscervi meglio. Quali sono i vostri rispettivi percorsi nella musica e come siete arrivati a La Monarchia?

Abbiamo avuto percorsi individuali diversi ma allo stesso tempo molto simili. Per anni, prima di fondare La Monarchia, abbiamo ognuno seguito binari paralleli suonando in varie band e progetti della Valdelsa. Il denominatore comune era fare musica propria, le cover fini a sé stesse non ci hanno mai interessato.

A partire dal 2012 è capitato per fortuna che tre di noi (Matteo, Lapo e Giulio) condividessero la stessa sala prove con le rispettive band. È in quelle circostanze che è nata La Monarchia. Inizialmente si trattava di un progetto secondario che portavamo avanti nei ritagli di tempo, via via la cosa ci ha assorbito totalmente ed il progetto si è fatto sempre più ambizioso. Negli anni poi si sono aggiunti alla formazione anche Lorenzo e Gianmatteo.

Come è avvenuta la scelta del vostro nome d’arte?

Nasce un po’ in risposta alla varietà dei nomi delle band che c’erano in giro in quel periodo. Tantissimi progetti con nomi in Inglese, spesso molto lunghi, compresi quelli delle nostre precedenti band, che in comune avevano tutti il fatto di non rimanere in mente per più di dieci minuti. Volevamo perciò qualcosa che fosse d’impatto, che bucasse l’attenzione delle persone e soprattutto che fosse in italiano, dal momento che avevamo deciso di cantare nella nostra lingua madre. “La Monarchia” è arrivato un po’ per caso, Giulio stava studiando per un esame di letteratura e si è imbattuto nel titolo di in un saggio di Dante il “De Monarchia”. Il nome ci piacque subito, era d’impatto, comunicava potenza, ma si portava dietro anche un certo fascino decadente. Ce lo siamo preso, così, per la bellezza della parola, del suo suono, scollegandolo totalmente nella nostra testa da qualsiasi significato politico e dall’enorme peso che questa parola ha significato per centinaia di anni. Ma forse inconsciamente se ci siamo innamorati di questo nome è anche colpa della sua natura provocatoria e contraddittoria.

Quali sono i vostri riferimenti artistici e in che modo li fate vivere nelle vostre produzioni?

Diciamo che quando si parla di musica siamo molto onnivori, ascoltiamo di tutto e ci piace variare. Le nostre fondamenta però affondano in un certo Rock degli anni novanta e dei primi del duemila. Band come Smashing Pumpkins, Radiohead, The Verve, Pixies, Weezer e via dicendo, ci hanno accompagnato durante e dopo l’adolescenza. È grazie a loro se ci è venuta voglia di prendere uno strumento tra le mani e provare a creare il nostro mondo, perciò è inevitabile che questi ascolti trovino il loro spazio nelle nostre canzoni. La sfida ogni volta che scriviamo è trovare un buon compromesso, tra i nostri riferimenti e un nostro personale contributo, tra il passato e l’attualità, soprattutto a livello di sound.

Ad un certo punto, quindi, avete deciso di unire i vostri universi e di farli confluire in un unico progetto: La Monarchia. Quali sono stati i momenti più importanti che avete vissuto, nella musica, come band e in che modo vi hanno portato ad essere quelli che oggi siete?

Suonando insieme da quasi dieci anni i momenti degni di nota che abbiamo collezionato durante il nostro percorso sono molti. Ci sono state diverse aperture importanti a band e artisti che stimiamo tanto, sono state esperienze preziose perché ci hanno permesso di crescere e migliorare, ma se dovessi fare una classifica credo che al primo posto metterei tutti quei momenti più intimi nella vita della band in cui ci siamo trovati di fronte ad un problema. Quei momenti in cui abbiamo dovuto fermarci, rifletterci sopra e poi rimboccarci le maniche per risolverlo. Sono gli ostacoli che ti fanno crescere, migliorare e maturare, mentre cerchi di capire come superarli. Ogni volta che ci siamo trovati di fronte ad una sfida, ad una situazione nuova da dover gestire è finita sempre che ne siamo usciti rafforzati sia sul piano musicale che su quello umano.

Parliamo ora di stile. Come definireste ciò che fate e in cosa pensate di essere unici?

È difficile analizzarsi e dire in cosa pensiamo di essere unici. Probabilmente sono le persone che scelgono di premiarci con un ascolto a saperlo meglio di noi. Ciò che facciamo sempre è divertirci suonando quello che ci piace, cercando di non essere mai auto referenziali. Facciamo musica per noi stessi è vero, perché per noi è un’esigenza, ma sarebbe un fallimento se tutto ciò rimanesse confinato tra le pareti del nostro studio. Perciò è importante immaginarsi di non essere mai soli quando scriviamo un pezzo, il processo inclusivo dell’ascoltatore e la condivisione delle nostre storie e dei nostri pensieri credo siano alla base della nostra scrittura.

“Ossa” è il titolo del vostro ultimo singolo, che punta ambiziosamente a ridefinire il genere alt-pop italiano. Ci dite di più su questo brano?

“Ossa” parla di una storia d’amore, parla di noi e del nostro rapporto a tratti conflittuale con la provincia, con posti in cui siamo cresciuti.

È un pezzo che abbiamo iniziato a scrivere qualche anno fa e che poi è rimasto parcheggiato in silenzio in qualche hard disk per tanti mesi. Durante quel lasso di tempo abbiamo avuto modo di fare alcune esperienze che ci hanno portato a vivere altrove e a viaggiare molto. Questo è stato un passaggio fondamentale per chiudere la scrittura del brano. Serviva del tempo per analizzare le cose in maniera più distaccata ed apprezzare certe sfumature, c’era bisogno di partire e poi di ritornare. Se avessimo chiuso il pezzo subito sicuramente non sarebbe stato lo stesso.

In che relazione si pone questo singolo con le vostre produzioni passate e in che modo anticipa quelle future?

Direi consequenziale. Ossa rappresenta la prima pagina di un nuovo capitolo che è strettamente correlato al nostro primo album. Non percepiamo una frattura ma bensì un’evoluzione quasi naturale rispetto al nostro primo lavoro. Ci è sempre stato a cuore racchiudere i nostri ascolti (soprattutto a livello di sound), di conseguenza un certo tipo di “rock alternativo”, all’interno di una forma canzone che non ponga paletti all’ascoltatore. Non abbiamo mai avuto problemi con la parola “pop”, purché sia di qualità. Nel primo disco credo che ci siamo riusciti a tratti solo con alcuni brani, con Ossa forse ci siamo avvicinati di più all’obbiettivo.

Quali sono i vostri progetti per il futuro?

In un futuro molto prossimo: far uscire un paio di singoli e soprattutto tornare a suonare live il prima possibile.

C’è qualcosa che vorreste dire ai nostri lettori?

Speriamo di vederci presto ad un concerto!

La Monarchia for Siloud

Instagram: @lamonarchia
Facebook: @LaMonarchia
YouTube: La Monarchia

Credits: Clarissa D’Avena

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